Roma, 4 gen – E’ tutto pronto, tra pochi giorni partirà la maratona elettorale che terminerà con l’ascesa al Quirinale del successore di Re Giorgio che, stanco e provato dall’età, ha abdicato durante il discorso di fine anno. Il toto nomi impazza già da qualche settimana sui media. Commentatori ed opinionisti fanno a gara nel tentativo di scovare il candidato con più chance e cioè il candidato che possa contare sui voti di Forza Italia e Partito Democratico.
Nel frattempo un nome pesante era circolato, quello del presidente della Banca Centrale Europea, il tecnico Mario Draghi. Per i più attenti commentatori aveva tutte le carte in regola per puntare al Quirinale: aplomb perfetto, ben inserito in Europa, autorevolezza e, cosa più importante, sempre equidistante tra Forza Italia e Partito Democratico. Il nome giusto per tranquillizzare i mercati e l’Europa, l’uomo giusto per terminare le privatizzazioni e guidare l’Italia sulla strada della sudditanza.
L’unico problema è che Mario Draghi si è subito defilato dalla corsa alla presidenza gelando i suoi sostenitori con la frase riportata da tutti i giornali nei giorni scorsi: “Io non faccio il politico”. Draghi si sente veramente un semplice tecnico e non un “politico”, formula facile facile per de-responsabilizzarsi in ordine alle scelte fondamentali che compie alla guida della BCE. Non vuole fare il politico perchè non conviene esserlo. Il “politico” risponde del suo operato (o dovrebbe risponderne) ai cittadini. Il tecnico, al contrario, no.
In questa Europa, poi, dove tutto è sovvertito, il tecnico nemmeno deve rendere conto alla politica, sono semmai i politici a dover rendere conto ai tecnici delle loro scelte. Quello di Mario Draghi, in sostanza, non è stato “un passo indietro”, ma un deciso passo in avanti o comunque un escamotage per evitare di fare mille passi indietro. Perchè mai Mario Draghi posto alla guida di una delle più importanti istituzioni bancarie ed economiche del mondo, in un mondo dominato dai “mercati” e dalle fluttuazioni finanziarie, dovrebbe “salire” al Quirinale, alla guida di una Nazione spolpata che arranca sotto il peso dell’austerity?
Perchè mai il banchiere Draghi dovrebbe ambire al ruolo di “cameriere” di se stesso? E’ un controsenso, che ovviamente nessuno dei suoi sostenitori ha voluto evidenziare quando hanno lanciato Draghi nella corsa alla presidenza: lui gli ordini li vuole dare, non ricevere. Per quanto allettante possa essere il ruolo di Presidente della Repubblica italiana, quello di presidente della Banca centrale europea è un incarico irrinunciabile.
A Roma si decide poco o nulla, in quest’era postdemocratica le istituzioni dei singoli Stati nazionali sono stati svuotati di ogni loro effettivo potere. Oggi chi comanda siede a Bruxelles, nei consigli di amministrazione delle banche o di grandi multinazionali. I parlamenti nazionali assumono oggi una funzione meramente “rituale”: si finge che tutto sia ancora deciso nelle splendide aule dei parlamenti, come un tempo, per esorcizzare gli spiriti bollenti che si agitano con l’incedere della crisi economica e con la progressiva perdita di libertà.
Perché mai Draghi dovrebbe scendere così in basso, al Quirinale, quando ha l’Europa in mano?
Federico Depetris