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Recovery Fund e comitati tecnici: così Conte ha già commissariato l’Italia

by Lorenzo Zuppini
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Roma, 8 dic – Si parla di un acceso Consiglio dei ministri avvenuto lunedì 7 dicembre. Anzi, il più acceso Consiglio dei ministri nella storia di questo governo. Oggetto del contendere, fra le altre cose, il Recovery Fund e le modalità di gestione delle relative risorse. Giuseppe Conte, l’avvocato di Foggia e professore a Firenze che vinse la lotteria di Palazzo Chigi, si è stranamente fuso con la poltrona su cui siede. Senza lasciare spiragli di manovra a nessun altro che non sia lui stesso o i gruppi di dirigenti e tecnici che vuole al suo fianco.

Ci mancava la task force sul Recovery Fund

Il quotidiano Domani lo ha definito un “governo nel governo”. Conte vorrebbe mettersi a capo del comitato esecutivo su Recovery Fund ma anche alla testa dell’organismo cui tale comitato dovrà render conto, ossia il Comitato interministeriale per gli affari europei. Il Consiglio dei ministri, dopo ritardi e rinvii, è iniziato ma si è anche bloccato. Il ministro Lamorgese è stata trovata positiva al Covid-19 (guarda caso non solo Trump, Boris Johnson e Rudy Giuliani lo contraggono). Poi, in una seconda riunione, Giuseppe Conte ha dovuto rimangiarsi la proposta di emendamento alla finanziaria, con relativo voto di fiducia, per introdurre la sua proposta di “governo nel governo”.

La mole di denaro che dovrebbe arrivare dal 2021 al 2026 è imponente. Il governo si è fatto sfuggire una mezza bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza: 74 miliardi saranno utilizzati per la rivoluzione verde e transizione ecologica, 48 miliardi per la digitalizzazione e la innovazione, 27 miliardi per le infrastrutture e per una mobilità sostenibile (le piste ciclabili?), 19 miliardi per istruzione e ricerca, 17 miliardi per la parità di genere e la coesione territoriale e (soli) 9 miliardi per la sanità.

Un coacervo di luogocomunismo fricchettone

Al netto delle supercazzole sulla rivoluzione green e la parità di genere (probabilmente verranno clonati dei babbi per farli stare a casa a fare i mammi), indubbio è che il piano sia gigantesco. Teoricamente il governo, essendo nato in parlamento e godendo del sostengo della maggioranza parlamentare, dovrebbe essere più che in grado di affrontare tale sfida e di gestire tale situazione. Inoltre, è l’organo maggiormente adatto a farlo. Tutti quegli investimenti dovrebbero ricalcare precisamente le intenzioni espresse dagli elettori nelle ultime elezioni.

Peccato che nessuno avesse mai pensato che una tale situazione sarebbe stata affrontata da questa zoppicante coalizione, nata col solo scopo di impedire nuove elezioni. Non a caso, il programma di spesa del Recovery Fund è una specie di spremuta del luogocomunismo fricchettone, ecofriendly e sessualmente sostenibile. Proprio come se fosse richiesto questo.

Ognuno di questi settori di intervento sarà gestito da un supermanager. Il quale a sua volta dovrà poi confrontarsi con l’ennesima task force composta dai rappresentanti delle varie categorie. Buffo che questi ultimi siano stati tirati in ballo oggi e non i mesi scorsi, quando venivano chiusi d’imperio interi settori economici italiani senza che nessuno dei disgraziati interessati potesse esprimersi o dare un parere.

I tecnici vanno per la maggiore. Ormai non è conoscibile il numero di task force che da marzo affollano le stanze del potere per dare pareti su qualsiasi questione, addirittura sulla divulgazione delle fake news. E il confine tra cazzata e opinione legittima è talmente sottile che il governo si è subito sbilanciato verso la censura. I tecnici di fatto guidano la nazione. E i tecnici propongono le idee che poi verranno applicate dall’esecutivo. Proprio come se si trattasse d’un notaio che deve limitarsi a mettere il timbro.

La politica commissariata

Viene da domandarsi per quale motivo tutto ciò sia necessario e se sia accettabile. Un ministro dovrebbe esser anche tecnico nella materia di cui si occupa, e al contempo far coesistere le necessità reali. Quelle di un Paese reale composto da persone reali.

È proprio in situazioni d’emergenza come questa, ove la gestione straordinaria risulta preponderante, che la politica deve mettere il suo marchio di fabbrica su tutto ciò che accade nel paese. Altrimenti accade che per sconfiggere una pandemia si ammazza una nazione. Il governo e il parlamento servono per far coesistere più interessi, senza che il diritto alla salute venga innalzato come vessillo per l’ennesima crociata liberticida. Per l’ennesima marcia contro l’Italia.

Lorenzo Zuppini

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1 commento

Sergio Pacillo 8 Dicembre 2020 - 2:59

I conti a gennaio.

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