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Poche idee ma confuse: la migliore alleata della Meloni è la sinistra

by Adriano Scianca
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«Con questa sinistra, governeranno per 20 anni». Lo abbiamo detto e sentito dire tante volte ai tempi in cui Matteo Salvini sembrava una macchina da consenso inarrestabile e gli avversari, nella loro rincorsa affannosa, sembravano fare inavvertitamente da volano alla popolarità del leader leghista. Poi è andata come è andata. Ora, con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, sta andando più o meno alla stessa maniera. Non che il nuovo governo le stia azzeccando tutte, intendiamoci. Di fianchi lasciati scoperti al nemico ce ne sono in abbondanza. Ma all’opposizione sono ancora in bambola.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di dicembre 2022

Il motivo della connessione profonda tra una parte del Paese, largamente maggioritaria, e figure come Silvio Berlusconi prima, Matteo Salvini poi, Giorgia Meloni ora, restano completamente oscure alla sinistra. A meno di non voler considerare come analisi serie su questo tema le invettive che arrivano a intervalli regolari contro tutta una nazione, accusata di essere composta solo da fascisti, mafiosi, evasori e bigotti, con una casta di ottimati minoritaria e incompresa. Insomma, è il popolo ad essere sbagliato, la sinistra non ritiene di doversi rimproverare nulla. Non esattamente un buon viatico per la riconquista del consenso.

Sinistra allo sbando, Pd in coma

Il Partito democratico resta per il momento in coma profondo, legato alla sua burocrazia e ai suoi rituali interni, come se questi fossero la soluzione e non invece parte del problema. I dem hanno creato un Comitato costituente monstre, composto addirittura da 87 membri, che arriva quasi a un centinaio con le varie personalità che parteciperanno al percorso come invitati. Qui si segnala il rientro del figliol prodigo Roberto Speranza, che ritorna all’ovile, portando in dote al Pd la sua gestione disastrosa della pandemia e la voglia di rinchiudere ancora gli italiani, che dal canto loro hanno giustamente già archiviato la stagione del Covid.

L’avvicinarsi del congresso vede il solito toto-nomi, ma fra le varie candidature ufficiali o ufficiose non emergono nomi salvifici. In pole il governatore emiliano-romagnolo Stefano Bonaccini, l’ex ministro Paola De Micheli, i sindaci di Pesaro e Firenze Matteo Ricci e Dario Nardella. Quasi tutti nomi legati al territorio. Evidentemente il Pd vuole ripartire dall’ormai mitologico buon governo delle Regioni e delle città rosse. Sembra tuttavia lunare la sola possibilità che un Ricci o un Nardella possano davvero rappresentare qualcosa per qualcuno al di fuori della loro città e del loro feudo di potere, conoscenze, agganci, protezioni.

L’ipotesi Schlein

Un profilo più solido appare quello di Bonaccini, leader strutturato, meno ideologico di altri, con tanto di mascella volitiva che scalda i cuori delle insegnanti con la tessera in tasca. Alcune sue prese di posizione che strizzano l’occhio a certo leghismo sembrano indicare una certa riflessione sulle ragioni del successo degli avversari. Nel partito, tuttavia, c’è chi ritiene l’Emilia-Romagna una eccezione a sé, un modello non esportabile. Gli avversari della sinistra, ovviamente, sperano che invece si concretizzi la candidatura e magari la vittoria di Elly Schlein: con il suo piglio woke e il suo privilegio sociale, l’astro nascente della sinistra sembra davvero la persona giusta per seppellire definitivamente il partito.

Resta poi il tema delle alleanze: l’asse con i grillini appare l’unica scelta possibile, soprattutto se il baricentro del partito si sposterà ancora di più verso sinistra, ma restano tutte le incognite del caso. Le esperienze dei governi gialloverde e giallorosso testimoniano che allearsi con i pentastellati significa essere costretti a seguirli sul loro terreno, dove però si rischia di restare impantanati.

L’esercito del selfie

Va peraltro notato che, nonostante la spocchia mostrata verso la comunicazione personalistica e superficiale dei loro avversari, quelli di sinistra dovrebbero essere i primi a fare ammenda per la concezione social, retorica, prêt-à-porter della politica che hanno sposato nel corso degli anni. L’idea che il nome cool, il profilo salvifico, il selfie con la faccia contrita possano supplire alla mancanza di progettualità è stata portata avanti a sinistra tanto quanto a destra, solo con risultati meno premianti. Pensiamo agli «sfortunati» eroi dell’accoglienza come Mimmo Lucano o Aboubakar Soumahoro, o alla…

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