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Tagli all’istruzione: le scuole sopravvivono grazie ad autotassazione e volontariato delle famiglie

by Cesare Garandana
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scuole fatiscentiRoma, 28 nov. – C’è un dato agghiacciante che accomuna ogni regione d’Italia: senza il contributo volontario delle famiglie, gli studenti sono costretti a frequentare istituti fatiscenti.

E’ quanto emerge da una ricerca del Censis dal titolo “I valori degli italiani 2013. Il ritorno del pendolo”. La percentuale di genitori disposti a contribuire in termini economici o tramite una prestazione volontaria varia dal 41% delle regioni meridionali per scendere al 35% nel Nord-Ovest per un valore complessivo di oltre 390 milioni di euro solo nell’ultimo anno. Il contributo si rende necessario a causa dei continui tagli all’istruzione che hanno portato, a partire dal 2004 ad una progressiva riduzione fino a raggiungere l’annullamento nel 2009. Attualmente il finanziamento raggiunge l’incredibile, in senso negativo, cifra di 8 euro a studente. Cifra che il ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, ha definito puramente simbolica promettendo di portarla a 25 nell’arco di tre anni.

Intanto, nonostante alcune polemiche di genitori che affermano, non a torto, che il mantenimento della scuola pubblica dovrebbe essere a carico dello Stato (soprattutto in relazione alla gravosissima pressione fiscale italiana), non mancano alcuni casi eclatanti. A Bologna, nella scuola elementare Longhena, è stata avviata una sottoscrizione per contribuire alle riparazioni del tetto e per l’installazione di un impianto fotovoltaico. A Roma, un gruppo di genitori ha dovuto provvedere a ritinteggiare gli interni ed a pulire le aule. L’ istituto comprensivo Niccolò Tommaseo di Torino e invece sede dell’ A.Tom.I (Associazione Tommaseo per l’Inclusione) che si occupa di sostenere tutti i progetti che mirano a migliorare la qualità della permanenza in istituto. L’associazione, secondo quanto affermato dalla preside Lorenza Patriarca, “metterà insieme risorse economiche attraverso iniziative di raccolta fondi, ma anche risorse professionali presenti tra i genitori. Un esempio? La progettazione delle reti informatiche».

“Abbiamo già avuto esempi recenti. Un padre ci ha fornito i materiali per ridipingere alcune aule, così il costo si è limitato alla manodopera. Tutto questo non significa che non continueremo a protestare perché la scuola sia al centro dell’attenzione”.

L’ A.Tom.I di Torino è solo l’ennesimo esempio di come associazioni di privati tentino di coprire il vuoto creato da uno Stato assente. «Le attività ordinarie per ora reggono, ma le ore di compresenza da dedicare agli allievi con disturbi dell’apprendimento oggi sono pochissime. Le ore di sostegno non bastano. Tutto quanto rende una scuola inclusiva è a rischio: sportello psicologico, formazione degli insegnanti sulle disabilità, la possibilità di avere computer e collegamenti internet veloci, educatori per il supporto all’autonomia, il corso di danza o di musicoterapia. Il Comune ha sempre più difficoltà ad intervenire, i fondi per il diritto allo studio della Provincia sono vicini allo zero: il rischio è che qualcuno cominci a vedere nella diversità un problema, che si torni alle classi speciali. Per questo dobbiamo impegnarci tutti insieme per aiutare la scuola e in questo modo sostenere chi ha meno».

Cesare Dragandana

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