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Acqua e Atac: così cade a pezzi la Roma dei Cinque Stelle

by Nicola Mattei
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Roma, 29 lug – Il razionamento dell’acqua nella capitale è scongiurato. Almeno per il momento, dato che di perturbazioni meteo all’orizzonte non se ne vedono e quindi il lago di Bracciano continua nella sua lenta ma costante discesa verso i minimi storici. Si rischia ancora il disastro ambientale nell’ecosistema dei monti Sabatini, solo in parte mitigato da una riduzione nelle captazioni che servono per rifornire Roma e il suo circondario. Rimane invece il problema di una rete idrica che – è proprio il caso di dirlo – fa acqua da tutte le parti, nonostante la multiservizi Acea sia in costante crescita con margini e utili in continua ascesa. Un circostanza, quella di un bilancio sempre col segno più davanti, che fa gola a molti, Comune in primis dato che partecipa ai generosi dividendi con il suo 51% di azioni. Ecco allora dove finisce almeno una parte dei dividendi, invece che agli investimenti tanto indifferibili quanto non pianificati: a puntellare i bilanci di un’amministrazione grillina che, a fronte delle mirabolanti promesse, non ha invertito la rotta di una marcia che sta trascinando la città eterna sempre più verso il baratro.

Se l’acqua non ride, il trasporto piange. E per restare nell’umido, qui piove letteralmente sul bagnato. Le perdite di Atac, la concessionaria del trasporto pubblico di Roma, non sono falle negli impianti ma clamorosi problemi di manutenzione, l’assenteismo, una parentopoli che da caso una tantum è diventata praticamente strutturale fino a coinvolgere perfino i moralisti a cinque stelle. Già, proprio loro, quelli della “onestà” a tutti i costi. A lanciare l’accusa è Bruno Rota, direttore generale della società ma dimissionario da una settimana: “Più che di dirigenti da cacciare, lui e non solo lui (Enrico Stefàno, presidente della commissione mobilità e vicepresidente del consiglio comunale, ndr) mi hanno parlato di giovani da promuovere. Velocemente. Nomi noti. Sempre i soliti.” Il tutto mentre il manager con un passato all’Iri e all’Atm milanese – non proprio un novellino del settore – proponeva soluzioni drastiche per aggredire debiti e storture: gli è stato chiesto il miracolo, ma questo non era possibile senza un forte appoggio politico che non c’è evidentemente mai stato. “L’effetto combinato dell’anzianità del parco mezzi e l’impossibilità di fare interventi di manutenzione, dato che non si trovano fornitori disposti a darci credito, fa sì che non si riesca a far fronte alle esigenze di normale funzionamento”, ha denunciato in un’intervista al Corriere. Risultato? Mezzi ancora fermi, nessun miglioramento nell’efficienza aziendale, tassi di assenze dal lavoro sempre ben oltre il fisiologico. E le sempiterne raccomandazioni per i dirigenti, queste non possono mancare anche (o soprattutto?) se al governo c’è l’antipolitica. Pure loro tengono famiglia.

Nicola Mattei

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"Illegale e infattibile": la Procura boccia il piano della Raggi per Atac 12 Aprile 2018 - 10:49

[…] Facciamo un passo indietro. Dal 2003 ad oggi Atac non ha chiuso un bilancio in utile. Nel frattempo si accumulano debiti, mezzi inefficienti, un’obsolescenza del parco macchine sia su gomma che su rotaia, continue ricapitalizzazione con il Campidoglio chiamato praticamente ogni anno a dover iniettare liquidità fresca nelle casse dell’azienda per evitarne il tracollo. Si arriva così all’estate scorsa quando, dopo numerose incomprensioni, Bruno Rota, un manager con un passato all’Iri e all’Atm milanese e chiamato dalla Raggi in persona per affrontare di petto la situazione, getta la spugna perché lasciato solo in quella che già all’epoca sembrava una missione impos…. […]

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