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Arrivati 27mila clandestini, ripartiti 1100: ecco perché rimpatriare è già una sconfitta

by Stelio Fergola
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Roma, 6 apr – Il flop dei rimpatri è evidente anche solo guardando agli spaventosi numeri riguardanti l’immigrazione clandestina nel 2023. Nell’anno in corso, in appena tre mesi, sono già giunti sulle coste italiane 27mila clandestini. “Molti dovranno essere rimpatriati”, si diceva. A quanto pare non è così.

Su 27mila arrivati ne sono ripartiti poco più di mille: ecco il flop dei rimpatri

Secondo gli ultimi dati riportati dal Giornale, sarebbero 1.107 i rimpatri finora effettuati dall’Italia per gli arrivi illegali sul nostro territorio. Poco più di mille, al cospetto di un numero che viaggia spedito verso i 30mila e che, secondo le stime, a questi ritmi, aggiungendo la crisi tunisina e prevedendo anche un’incalzare delle frequenze nei mesi estivi, potrebbe far arrivare in Italia il numero spaventoso di oltre 400mila clandestini. In questi dati, però, non c’è solo la quantificazione spaventosa di ciò che si sta affrontando, ma anche un aspetto forse non evidenziato troppo: il flop dei rimpatri. Non tanto come concetto, ma proprio come approccio pragmatico. Vediamo perché.

Dover rimpatriare è già una sconfitta

L’ultimo governo che abbia raggiunto risultati sensibili nel fermare gli sbarchi è stato quello gialloverde e il ministero che ha bloccato di più il fenomeno è stato quello di Matteo Salvini agli Interni. Ovviamente, ricordare ciò non significa sostenere una sciocchezza, ovvero che il leader leghista abbia all’epoca fermato il fenomeno dell’immigrazione, il quale necessiterebbe di operazioni ben più ampie per trovare una risoluzione definitiva. Significa semplicemente rimarcare che, su questo fattore specifico, sia stato l’esecutivo più efficace (o meno inefficiente, a seconda dei punti di vista). All’epoca Salvini fu bersagliato da chi era interessato a sminuirne il lavoro puntando proprio sul concetto dei “rimpatri” che non avvenivano. Il concetto, di per sé, ovviamente un valore ce l’ha eccome. Nei “fatti” che viviamo da almeno dieci anni, però, dover rimpatriare è già una sconfitta per un motivo molto semplice: ci si trova addentrati in una situazione di difficoltà “contrattuale”, con i Paesi di provenienza che cercano di “lucrare” sulla presenza di propri concittadini sul nostro territorio ma anche con procedure complicatissime che quasi mai vengono avviate. Da questo punto di vista, “rimpatriare” ha un valore non così dissimile da “ricollocare” i clandestini secondo quote condivise con gli altri Paesi membri Ue: non viene mai fatto perché le condizioni oggettive lo rendono improbabile. Eticamente avrebbe un altro significato, quello sì. Ma nella vita, come ben sappiamo, contano i fatti e la concretezza. Il ministro Matteo Piantedosi ha risposto sulla questione proponendo di raddoppiare i Centri per il rimpatrio: potrebbe dare una mano, certamente, ma la sensazione è che i numeri non miglioreranno granché. Rimpatriare è troppo complicato. Rimpatriare vuol dire trovarsi già in una posizione difficile.

Stelio Fergola

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