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Con il caro prezzi è a rischio anche la produzione di Parmigiano Reggiano

by Alessandro Della Guglia
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Roma, 13 set – Il caro prezzi potrebbe rivelarsi una mannaia anche per il simbolo per eccellenza della gastronomia italiana. La produzione di Parmigiano Reggiano è infatti a serio rischio. Il grido di allarme arriva dal presidente della sezione lattiero casearia di Confragricoltura Emilia Romagna, Roberto Gelfi: “Si rischia di non produrre i quantitativi di latte richiesti, per la trasformazione in formaggio Parmigiano Reggiano, dalla programmazione 2023/2024 del Consorzio – dice Gelfi – infatti, a causa dei rincari, l’allevatore potrebbe decidere di ridurre il numero di capi e di conseguenza la produzione complessiva di latte”.

Parmigiano Reggiano a rischio, ecco perché

Stando alla elaborazione di Confagricoltura Emilia Romagna, i costi di produzione del latte utilizzato per il Parmigiano Reggiano hanno subito un balzo addirittura del 40-50% in più, mentre i costi della trasformazione hanno avuto un’impennata del 35-45% rispetto allo scorso anno. “Inoltre, c’è il serio rischio – spiega Gelfi – che le aziende zootecniche non possiedano abbastanza liquidità per sostenere siffatti aumenti e che quindi scelgano di vendere subito parte del latte crudo sul mercato spot, destinandolo ad altri usi alimentari e non alla trasformazione in Parmigiano Reggiano”.

Per l’esattezza, sempre secondo le stime di Confagricoltura Emilia Romagna, nelle stalle del circuito di produzione della Dop la spesa per l’energia elettrica è passata da 24 a 76 euro per capo nel periodo 2021-2022. Come se non bastasse sono schizzati alle stelle anche il gasolio agricolo – passato da 15 a 35 euro/capo – e l’erba medica per l’alimentazione del bestiame, da 56 a 96 euro/capo.

“Impossibile sopravvivere a questa crisi”

Il presidente di Confagricoltura Emilia Romagna, Marcello Bonvicini, fa poi il punto sulle problematiche che affrontano i produttori di Parmigiano Reggiano: “Il prezzo del latte crudo alla stalla è sottostimato da decenni e adesso  con l’incasso di un mese l’allevatore ripaga a malapena il mangime e il carburante, restano fuori tutte le altre spese. Poi non si capisce perché permanga una sostanziale differenza tra le quotazioni stabilite negli ‘accordi quadro’ – attualmente sui 60 centesimi circa al litro iva inclusa- e quelle del libero mercato che si attestano ben al di sopra, a 70 centesimi circa al litro iva inclusa. Ovvio che sopravvivere a questa dura crisi diventa impossibile – tuona Bonvicini – soprattutto per coloro che sono vincolati da un prezzo fisso concordato”.

Alessandro Della Guglia

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1 commento

fabio crociato 15 Settembre 2022 - 6:41

Cominciassero a ri-produrlo come una volta. Poco ma buono è meglio.

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