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Condannato a 19 anni si barrica in un ufficio postale e chiede di parlare con Salvini

by Lorenzo Zuppini
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Reggio Emilia, 5 nov – Un uomo condannato nel processo Aemilia, il più grande processo per mafia del Nord Italia, si è barricato questa mattina prima delle 9 in un ufficio postale di Pieve Modolena, frazione di Reggio Emilia, e ha preso in ostaggio la direttrice della filiale e 4 dipendenti che si trovavano all’interno dell’edificio.
L’uomo, Francesco Amato, era armato di coltello da cucina. Secondo le forze dell’ordine non è molto lucido e non collabora. Per questo motivo si sta valutando l’intervento delle forze speciali. Pare siano in corso delle trattative e la polizia ha evacuato la parte di vie Emilia dove si trova l’ufficio postale. Sono stati anche creati due punti di sbarramento ai lati, e sono state chiuse tutte le vie limitrofe.
Secondo quanto hanno riferito i carabinieri, Amato ha chiesto di parlare con alcuni esponenti politici, in particolare con il ministro dell’Interno Matteo Salvini, sulla condanna che a suo dire è ingiusta, in quanto lui sarebbe “sì un delinquente, ma un delinquente onesto, non mafioso”.
Oltre ai dipendenti, nell’ufficio postale c’erano sette clienti, che sono stati fatti uscire dall’uomo al momento del blitz. Anche una quinta dipendente, dopo un paio d’ore, è stata fatta uscire dalla filiale e appena fuori, la donna ha avuto un mancamento ed è stata soccorsa dal personale del 118. Amato nel fare irruzione nell’ufficio postale pare abbia gridato “sono quello condannato a 19 anni”.
Francesco Amato era stato condannato a 19 anni e un mese di carcere pochi giorni fa, nell’ambito del procedimento sulla presenza della ‘ndrangheta al Nord Italia. Dal giorno in cui è stata emessa la condanna si era reso irreperibile, rendendo così impossibile il compito dei carabinieri di Piacenza, che avrebbero dovuto dare esecuzione all’ordinanza firmata dai giudici e portarlo in carcere.
In totale la sentenza del processo Aemilia ha portato a 125 condanne, per un totale di 1.200 anni di carcere complessivi per gli oltre 200 imputati, accusati di essere appartenenti e collusi a un unico clan della ‘ndrangheta. Nell’inchiesta erano coinvolte forze di polizia, funzionari e dirigenti di pubbliche amministrazioni, giornalisti e liberi professionisti, ex assessori, imprenditori, costruttori, consulenti fiscali e anche Giuseppe Iaquinta, il padre di Vincenzo Iaquinta, l’ex calciatore della Juventus e campione del mondo con la nazionale.
Anna Pedri

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