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Crescita: le nuove stime sul Pil e l’effimero entusiasmo di Confindustria

by Filippo Burla
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Roma, 28 giu – Hanno dimenticato di tutelare gli imprenditori italiani, difendendo la scelta di assoggettare le sorti della nostra economia ad un’esperimento monetario disastroso che sta portando l’Italia ad una lenta ma progressiva deindustrializzazione. In cambio hanno ricevuto una continua fuga di iscritti, con migliaia di imprenditori che ogni anno abbandonando la nave che affonda. Già dal nome Confindustria sembra così, ormai, un ossimoro. Ma l’ironia non sembra certo mancare dalle parti di viale dell’Astronomia.

L’ultima notizia che, in ordine di tempo, arriva dall’associazione guidata da Vincenzo Boccia sembra quasi una battuta. Il tema è il Pil, che stando al Centro Studi dell’organizzazione di rappresentanza degli imprenditori quest’anno dovrebbe toccare quota +1,3%, segnano una delle migliori performance degli ultimi anni e in decisa virata rispetto al +0,8% di pochi mesi fa. Un’accelerazione trainata da “export e investimenti”, punti di forza del tessuto produttivo italiano che però negli ultimi tempi sono venuti meno. Numeri positivi anche per il 2018, quando la crescita si consoliderà a +1,1% dal +1% tondo previsto.

Abituati come siamo a degli smunti zero virgola, il superamento della soglia psicologica dell’1% rappresenta un traguardo indubbiamente lusinghiero. Al netto dell’effetto psicologico, tuttavia, cosa resta? Davvero poco. I toni quasi trionfalistici con i quali Confindustria ha annunciato la revisione al rialzo delle stime sono decisamente fuori luogo.

La crescita c’è, questo non si può discutere se almeno la matematica non è un’opinione. Ma la crescita vera, quella che realmente serve all’Italia è ben lontana dal realizzarsi. L’uno virgola e rotti rappresenta un pannicello caldo che non crea ricchezza rispetto a quella distrutta dal 2008 in avanti (siamo ancora al -7,7% pro capite da allora), la disoccupazione non viene riassorbita e le prospettive future non sono incoraggianti. Basti pensare al costo medio del debito pubblico, che se sul breve termine grazie anche al Quantitative Easing – ma il bazooka di Draghi non potrà durare per sempre – è ancora al di sotto dell’1%, globalmente si colloca attorno al 3%. Eccolo allora uno dei tanti obiettivi (mancati), uno dei possibili parametri di riferimento per una crescita del Pil che possa davvero dirsi robusta e concreta. E non siamo neanche a meno della metà.

Filippo Burla

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