Roma, 20 feb – Il disarmo e l’abbandono dopo appena 25 giornate di campionato. In sei mesi, Spalletti e il Nuovo Progetto Cinese della potente corazzata Suning sono saltati per aria e hanno perso la voglia di correre e di combattere. Si sono chiamati fuori, preferiscono far giocare gli altri e non hanno nemmeno un pallone da portarsi via come si faceva da bambini quando si era incavolati perché le cose non andavano come avremmo voluto. Salvo improbabili colpi di coda, quella interista è un’altra stagione buttata via, più o meno maledetta come tutte le altre seguite al Triplete nel 2010: le conquiste di Moratti e Mourinho (poi “scappato” al Real Madrid) seguite dalle scellerate scelte programmatiche del Petroliere, sono diventate un boomerang micidiale per il mondo neroazzurro.
Quando in conferenza stampa dopo la sconfitta con il Genoa (0-2), Spalletti rimanda il suo futuro interista all’eventuale gradimento della società, è il segnale che qualcosa di importante si è rotto dentro e intorno al giocattolo: “Io non mi sento in discussione ma decideranno i dirigenti”, le parole di un allenatore che già dallo scorso dicembre appare rassegnato nelle sue esternazioni pubbliche, sembra aver perso la voglia di lottare per frenare la discesa pericolosa. Sembra? No, Spalletti è rassegnato secondo quello che filtra da ambienti vicini allo spogliatoio neroazzurro, dove il fatalismo e la mancanza di quella volontà feroce, necessaria a questi livelli, sembrano accompagnare le azioni del tecnico toscano sul campo. Spalletti sembra aver voglia di finire in fretta la stagione per poi lasciare ad altri l’incombenza, attraverso la risoluzione del suo contratto biennale più opzione per la stagione successiva a 4 milioni a stagione. Spalletti è un tipo un po’ così, per chi da tempo segue la sua carriera: tecnico capace, ma complicato nelle relazioni umane, permaloso sopra i livelli di guardia e incline ad abbattersi quando le cose non vanno come vorrebbe.
In carriera ha guadagnato parecchio e da qualche tempo sembra aver perso la rabbia feroce che devono avere gli allenatori a certi livelli. Negli ultimi tempi a Roma, gli aspri confronti con i giornalisti che non gli garbavano erano all’ordine del giorno: ne risentivano la squadra e l’ambiente. A prescindere dalle tensioni mai sanate con Totti. A Milano è uno Spalletti più morbido ma con meno voglia di mordere. Ha guadagnato tanto ma ha vinto poco in carriera, il toscano: due Coppa Italia nella Capitale; uno scudetto, una coppa ed una supercoppa di Russia invece con lo Zenit. Da uomo della Risurrezione per l’Inter a uomo della Rassegnazione. Incapace o indifferente di fronte alla polveriera che sta diventando parte dello spogliatoio dell’Inter, con la contrapposizione tra capitan Icardi e i croati della squadra come Perisic (che dopo il rinnovo guadagna quasi come lui) e Brozovic. Di mezzo ci sono anche gossip piuttosto pruriginosi, ma non è nel nostro stile cavalcare il genere.
Per un po’, pur consapevole che i cordoni della borsa sul mercato erano davvero stretti, Spalletti ha tenuto botta, cercando di difendere il Progetto e il gruppo a disposizione. Dopo il mercato di gennaio ha cominciato a vacillare ed a rassegnarsi anche lui. Adesso è sembrato infastidito anche con il diesse Ausilio o con qualche dirigente dentro la società (Zanetti?) per il continuo susseguirsi di nomi usciti in questi giorni su alcuni quotidiani sportivi per promuovere l’ennesima rivoluzione estiva. “Se certi nomi circolano, vuol dire che qualcuno li ha messi in giro”, ha detto recentemente l’allenatore, che si è sentito sconfessato negli ultimi sforzi di difesa del gruppo a disposizione. L’ingaggio dell’attaccante argentino Lautaro Martinez per la prossima stagione e il difficoltoso rinnovo del contratto di Icardi, sono altra benzina sul fuoco.
Chi doveva gestire il tutto grazie al ruolo di coordinatore tecnico del gruppo Suning, come Walter Sabatini, ha mollato la presa: si sente tradito e illuso dalle promesse estive di mr. Zhang. In pratica ha le mani legate e non può certo fare quella movimentazione di giocatori, soldi e commissioni che faceva a Roma. Per il momento, le certezze di questa Inter sono i numeri da default calcistico: 8 punti nelle ultime 9 giornate di campionato, dallo scorso 9 dicembre dopo lo 0 a 0 con la Juve. Cinque pareggi, tre sconfitte e solo un successo con il Bologna a San Siro. Eliminato in Coppa Italia per mano del Milan. Nelle prime sedici giornate di campionato l’Inter aveva fatto 40 punti ed era in testa alla classifica. Adesso più che una media scudetto- champions sembra una media da zona retrocessione. C’è poi un’inquietante coincidenza a questo punto della stagione: dopo 25 partite, l’Inter di Spalletti ha esattamente gli stessi punti (48) dell’Inter di De Boer e Pioli dello scorso anno. Perfettamente gli stessi anche i gol fatti: 40. E quella passata era stata considerata una stagione da cancellare in fretta per ripartire.
Quando Pioli venne esonerato e la squadra affidata a Vecchi, l’Inter era quarta in classifica; adesso, dopo il successo della Lazio col Verona è addirittura quinta, fuori dalla Champions League: numeri e segnali di un altro fallimento. È il caso di cominciare a capire che le proprietà straniere, l’ingresso nei nostri club di Gruppi finanziari che hanno asset diversificati, una proprietà lontana e che continuano ad investire su troppi calciatori stranieri, rischiano solo di portare il calcio italiano al fallimento.
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Paolo Bargiggia
Il default Inter, tra regolamenti di conti e la voglia di fuga di Spalletti
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