Lāesempio Eni ĆØ paradigmatico: prima societĆ per capitalizzazione a Piazza Affari, attivitĆ internazionale, societĆ globalmente inserita in un contesto di relazioni estere e diplomatiche di elevata caratura, tanto che non pochi hanno additato il gruppo di San Donato Milanese come una sorta di ministero degli Esteri āsotto coperturaā. Non ĆØ dāaltronde un caso che la direttrice di apertura verso la Russia di Putin sia arrivata insieme (o di conseguenza, si sottolinea spesso) con lāinteresse del gruppo petrolifero verso gli asset locali, dai giacimenti da sfruttare in collaborazione con Gazprom fino allāimpresa di primo livello rappresentata dal gasdotto South Stream. Direttore dāorchestra di questo sviluppo lāattuale amministratore delegato Paolo Scaroni. Una gestione, la sua, che nei nove anni trascorsi ha portato il cane a sei zampe ad essere giocatore mondiale, dallāAfrica allāAsia fino allāAmerica del Sud, con interessi in gioco anche nello shale gas cinese. Con una spinta particolare verso lāesplorazione e lo sviluppo di nuovi giacimenti, tra le quali va ricordata lāimmensa scoperta di gas naturale fatta lungo le coste del Mozambico. Non una strategia ovvia, stante che molte compagnie del settore preferiscono puntare sulla finanza per compensare una fisiologica riduzione delle scorte fisiche. Di fronte ai risultati, non sembra però che la guida del manager vicentino sia del tutto gradita al premier Matteo Renzi. Troppo vicino allāambiente di Berlusconi? Troppo orientato a consolidare i rapporti con una Russia che, con la vicenda dellāUcraina, sta mettendo alle strette i membri della Nato? E di converso, poco allineato al Washington consensus? Forse nessuna di queste, forse tutte tre insieme. Fatto che sta che, come anticipato su queste pagine, il mandato di Scaroni sembra essere in bilico. Una scelta non tecnica, dato che i risultati stanno del tutto dalla sua. Eā di ieri la comunicazione dei risultati del 2013 che, nonostante le difficoltĆ di periodo e di settore, tengono lāutile di gruppo a più di cinque miliardi.
Renzi dimostra di conosce giĆ i meccanismi che regolano il consolidamento di un sistema, primo fra tutti lāinserimento di uomini-chiave nei posti giusti. Non i ministeri o gli scranni da sottosegretario, posizioni per le quali basta un manuale Cencelli. E cosƬ, per la poltrona di amministratore delegato, il nome che circola ĆØ quello di Leonardo Maugeri. Entrato in Eni nel 1994, fa carriera in seno al gruppo fino a ricoprire incarichi di vertice quando, nel 2011, lascia lāazienda. CāĆØ chi parla di forti attriti proprio fra lui e Scaroni, impegnato a puntellare la propria squadra. Attriti non solo personali, ma anche di strategia: Maugeri guarda con occhio critico allāesposizione verso la Russia, giudicandola eccessiva e onerosa per le casse sociali. Non una posizione fuori luogo, che però non considera lāattuale processo di revisione dei contratti di lungo termine verso un livello dei prezzi sensibilmente più basso. Una scelta, quella di Maugeri, attualmente professore allāuniversitĆ di Harvard e curatore di numerose ricerche sul futuro dellāoro nero, che andrebbe quindi in parziale controtendenza rispetto allāattuale guida dellāazienda. Certo, il suo non ĆØ lāunico nome e Scaroni sta lavorando ādi marketingā per riaffermare la propria posizione e tentare le carte per il quarto mandato consecutivo. Ammesso che la metafora del āSquadra che vince non si cambiaā valga -come logica dovrebbe suggerire- anche e soprattutto per la grande industria.
Filippo Burla