In ogni caso, è certo che Ibrahim e Khalid hanno avuto un ruolo anche nel massacro del 13 novembre. Allora curarono la logistica, stavolta si sono offerti in prima persona come terroristi suicidi. Sono comunque la bassa manovalanza del commando, a differenza di Laachraoui, il secondo attentatore dell’aeroporto, che è radicalizzato da molto tempo. Osservando queste canaglie da banlieue trasformatesi in bombe viventi, si nota subito come il profilo sia sempre identico. Pensiamo a Salah Abdeslam e il fratello Brahim. Figli di immigrati marocchini con cittadinanza francese, sono ricordati come due ragazzi sbandati e viziati. Brahim passava le giornate a fumare cannabis e a dormire. Era il proprietario di Le Béguines, un bar a Molenbeek, chiuso dopo che nella struttura era stata trovata della cannabis. Anche Salah conduceva una vita di eccessi: mai sveglio prima delle tre del pomeriggio, passava il suo tempo a dormire perché in genere usciva e rientrava a tarda notte o il mattino seguente. Prima di lavorare come direttore del locale del fratello Salah era impiegato in un’azienda di trasporti a Bruxelles da cui fu licenziato nel febbraio 2011 dopo aver commesso troppe assenze ingiustificate.
Insomma, gli Abdeslam la ricchezza sembrano averla scansata con tutte le proprie forze, causa mancanza cronica di voglia di lavorare. Ma siamo sulla stessa lunghezza d’onda anche con Chérif Kouachi e suo fratello Said, i due responsabili dell’assalto a Charlie Hebdo. Già indagati anni prima nell’ambito delle ricerche sulla “filiera jihadista di Buttes-Chaumont”, Said viene rilasciato, Chérif no. Gli inquirenti credevano che fosse in procinto di volare verso la Siria per raggiungere illegalmente l’Iraq, dove andare a combattere. Orfani dei genitori, emigrati anni prima dall’Algeria, Said e Chérif hanno vissuto per anni da “musulmani occasionali” (come si era definito in passato il più grande). Come tanti suoi coetanei delle banlieue, Chérif ha vissuto una vita da sbandato. Per lavoro consegnava pizze e lo stipendio lo spendeva tutto in hashish, magari arrotondando con qualche furtarello. A stregare i teppisti di periferia fu Farid Benyettou, 24enne autoproclamatosi imam nella moschea Adda’wa, nel quartiere Stalingrad, a sua volta formatosi alla scuola del cugino, Youcef Zemouri, islamista cacciato dalla Francia nel 2004. Dopo la scarcerazione, Chérif si farà chiamare “Abou Issen”. Il percorso verso Charlie Hebdo era cominciato.
Adriano Scianca
1 commento
Certo mancano analisi sociologiche serie, che servirebbero come il pane, sugli immigrati di origine araba di seconda e terza generazione, ma queste ‘traiettorie’ apparentemente assai ‘eccentriche’ sono forse a mio parere comprensibili alla luce di quella che si potrebbe definire la ‘religione nell’epoca globale’, cioè un modello religioso ‘meticciato’, ibrido, frutto di componenti socioculturali disparate, locali e globali a un tempo ecc.