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Game over per Monti: si dimette sfiduciato dai suoi senatori

by Emmanuel Raffaele
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mario montiPer Mario Monti il 2013 non era iniziato bene e sembra dover finire peggio: proprio ieri, infatti, il senatore a vita ha annunciato le sue dimissioni da presidente di Scelta Civica ed il suo passaggio al gruppo misto.

Lo sostituirà, fino alla nomina di un nuovo presidente, il vicepresidente vicario Alberto Bombassei.

All’origine delle dimissioni la dichiarazione di undici senatori di Sc favorevoli alla legge di stabilità:  «È difficile non convenire con il pochissimo che viene detto in ordine alla valutazione del ddl («è un primo passo nella giusta direzione»). Ma vi è un quid specifico, di rilievo politico, che permea la dichiarazione, unisce le posizioni tenute di recente dagli undici firmatari e le connette ad un altro senatore di SC, che non è tra i firmatari in quanto fa parte del Governo, il Ministro della Difesa sen. Mauro». «Non posso non intendere la dichiarazione degli undici più uno senatori – ha aggiunto Monti- come una mozione di sfiducia nei miei confronti».

Proprio i dissidi con il ministro Mauro – e, pare, con Casini -, dunque, sarebbero alla base della scelta, che manda in crisi prematura il neonato movimento. Non è un mistero, infatti, che Monti si fosse detto non completamente soddisfatto della manovra preparata dal governo Letta e che, con lui, quattordici senatori si fossero espressi con una dichiarazione «sostanzialmente in linea» con la posizione dell’ex premier. Una posizione che, secondo Monti, sarebbe propria a Sc in contrasto con la «linea di appoggio incondizionato al Governo» che si è andata formando proprio attorno alla persona del senatore Mauro, il quale sarebbe altresì protagonista di un tentativo di trasformazione politica del movimento fondato da Monti, che lo vorrebbe «aperto anche a forze caratterizzate da valori, visioni e prassi di governo inconciliabili con i valori, la visione e lo stile di governo per i quali Scelta Civica è nata».

Anche Scelta Civica, insomma, scarica Monti. Era solo 3 gennaio quando a scaricare il “professore” era “The Economist”, dopo che su di lui avevano puntato tutte le cancellerie europee ed i mercati fino alla sua – letteralmente – discesa in politica. Presidente del Consiglio messo su da Giorgio Napolitano, che da pochissimo l’aveva già nominato senatore a vita, Monti era stato il deus ex machina della politica italiana. La sobrietà dopo le vergogne del berlusconismo.

E invece, dopo le vergogne del berlusconismo, si era trattato dell’ennesimo governo antinazionale, che non era neppure riuscito a frenare il debito, la pressione fiscale ed aveva abbandonato a se stessi i marò catturati dall’India.

Con poche eccezioni, però, la stampa continuava ad esaltarne le doti di equilibrio e rigore. Mentre a far saltare i piani era stato il solito Berlusconi, che a fine anno l’aveva sfiduciato, rompendo provvisoriamente le larghe intese d’impronta tecnica. Dopo di che c’era stata la scelta di entrare in politica, criticata anche dal suo sponsor Napolitano.

Era infatti il momento che le larghe intese tornassero ad avere parvenza partitica.

A puntare ancora su Monti era rimasto Pierferdinando Casini, ormai schiacciato tra i poli e pronto a far risorgere un grande centro tecnocratico. Una scommessa persa, come rivelato dalle elezioni, in primis da Mario Monti che pure, ad inizio ottobre, nel corso delle dichiarazioni sulla fiducia al governo Letta, in seguito alla crisi di governo provocata ancora da Berlusconi, aveva tentato perfino di mettere il cappello sulle larghe intese, “sfottendo” il Cavaliere e un po’ anche il centrosinistra col tono del “ve l’avevo detto”.

Mettere insieme tutti coloro che vogliono lavorare “per” l’Italia, trasversalmente, spaccando se necessario i partiti sul fronte del “moderatismo”. Questo il piano su cui Monti rivendicava paternità e per il quale cantava vittoria in faccia ad un Berlusconi sconfitto.

Oggi Monti si dimette da pedina di un disegno che lo ha visto protagonista di una brevissima stagione, senza capire quando era il momento di smettere. Con un Pdl che, probabilmente, si mangerà parte della sua lista. Ed un Pd che continua a governare con il centrodestra.

Camaleontici.

Emmanuel Raffaele

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