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Il mito del buongoverno rosso/Emilia-Romagna: truffe, mafia e spese pazze

by Eugenio Palazzini
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nebbiaaaBologna, 6 feb – La riviera dorata val bene un’orata da 125 euro, si può fare. Anche un pranzo a base di ostriche alla modica cifra di 424 euro per due coperti si può fare. Basta essere amici del capogruppo del Pd alla regione Emilia-Romagna Marco Molinari che paga con la propria carta di credito e poi chiede il rimborso. Dall’inchiesta dei Pm Morena Plazzi e Antonella Scandellati, emerge infatti che il generoso politico democratico, dal giugno 2010 al dicembre 2011, avrebbe speso circa 30mila euro in pasti da due o tre commensali, rigorosamente in ristoranti di fascia medio-alta non solo della riviera romagnola ma anche della capitale, dove all’ombra del Colosseo si consumavano spesso i banchetti degli eletti in quota Pd. Ma la palma del miglior degustatore a carico dei contribuenti spetta a Paolo Nanni, ex caprogruppo regionale Idv che dopo aver fatto lavorare in regione moglie, figlia e nipote, avrebbe speso 450 mila euro in cinque anni per cene luculliane, taxi e convegni fittizi, organizzati cioè solo sulla carta. Per la procura poi, non si salva neppure l’ex sindaco di Bologna Flavio Delbono, accusato di corruzione e peculato per i viaggi con la sua ex fidanzata.

Ecco quindi dove finivano i soldi dei cittadini nella regione modello del buon governo rosso, dall’aureola social e solidale. L’inchiesta però non risparmia neppure i rappresentanti in consiglio regionale di Pdl, Lega e Movimento 5 Stelle, che dovranno spiegare le spese sospette riguardo: asciugacapelli, un forno a microonde, libri di narrativa, caramelle e sontuosi scontrini da 50 centesimi per i bagni pubblici. Certo, spesso i conti si fanno senza l’oste e la ruota non gira. E’ il caso del consigliere ex Idv, Matteo Riva. Lui è stato sfortunato, a Natale 2011 acquistò due catenine da Tiffany ma il revisore dei conti gli negò il rimborso. Una vera e propria ingiustizia, considerando che per Riva “si trattava di un regalo per le mie segretarie che non hanno la tredicesima”.

Così l’Emilia paranoica dei CCCP, grigia e annoiata, cantata da un Giovanni Lindo Ferretti che aspettava “un’emozione sempre più indefinibile” non è più semplicemente avvolta dal grigiore di squallidi casermoni, carraie dissestate e circoli Arci. E’ diventata un simposio ellenico dove, parafrasando Alceo, “il vino in faccia al misero se lo gusta il beato”. Ma le inchieste sulla pubblica amministrazione da annoverare negli ultimi anni in Emilia-Romagna non finiscono qui. L’ex assessore del comune di Bologna Anna Fiorenza è stata presa di mira dalla procura per un servizio di “global service” da 100 milioni di euro.

E che dire di geometri e ragionieri, uno di questi iscritto al Pd bolognese, che come riportato da un’inchiesta de “L’Espresso” risultava al servizio di cosche mafiose per occultare gli investimenti in immobili di pregio? Ma davvero ci sono cosche nella regione modello del buon governo di sinistra? Eccome se ci sono, in Emilia-Romagna è stata certificata la presenza di 11 clan e famiglie appartenenti a camorra, ‘ndrangheta, mafia e sacra corona unita. Criminalità organizzata e radicata nel territorio rosso in cui gestisce prostituzione, gioco d’azzardo, traffici illeciti, ma anche materiali edili.

Per non parlare della banda di cui faceva parte nientemeno che un maresciallo delle Fiamme Gialle, che per nascondere gli introiti da attività commerciali operanti nel settore orafo (a Riccione e Cortina D’Ampezzo) ed estetico (a Riccione, Pesaro, Fano e Calcinelli di Saltara) portava soldi a San Marino e grazie al denaro sporco di un conoscente calabrese voleva finanziare una squadra di calcio a Rimini. Giusto per non farsi mancare nulla.

Eugenio Palazzini

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