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Dop e Igt da record, Italia primatista

by Gabriele Taddei
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rapportoqualivita14Roma, 18 dic – L’Italia si conferma leader delle produzioni alimentari certificate. Con la presentazione del XII Rapporto Qualivita-Ismea 2014 sulle produzioni agroalimentari italiane, realizzato da Fondazione Qualivita e Aicig, ci confermiamo primi con 269 prodotti iscritti nel registro Ue, di cui 161 Dop, 106 Igp, 2 Stg.

Nel 2014 sui 53 prodotti totali registrati, ben 8 provengono dalla nostra penisola: 3 Dop (lo Strachitunt, il Miele Varesino e il Pecorino Crotonese) e 5 Igt (la Patata dell’Alto Viterbese, il Torrone di Bagnara, la Pescabivona, la Piadina Romagnola e la Salama da Sugo). Questi, sul totale, contribuiscono a far prendere il largo all’Italia rispetto ai maggiori concorrenti europei: Francia (219 prodotti), Spagna (180), Portogallo (125), Grecia (101) e Germania (79).

Il volume del settore si attesta su 1,27 milioni di tonnellate, con un fatturato di 6,6 miliardi di euro alla produzione – di cui 2,4 miliardi di euro riferiti all’export – mentre, spostandosi sul consumo, il giro d’affari sale a 13 miliardi di euro, di cui 9 generati sul mercato nazionale. Ottimi numeri che, riportando un +5% nella casella delle esportazioni rispetto all’anno precedente, sostanzialmente si confermano a dispetto di un calo della produzione pari al 2,7%, causata principalmente dal calo della produzione di ortofrutticoli e cereali (-7%), bilanciati da un forte aumento delle carni fresche (+14,4%) e da una sostanziale stabilità in positivo degli altri prodotti.

Due sono le sfide verso le quali il settore dovrà maggiormente impegnarsi nel futuro. Il primo aspetto è la cattiva distribuzione dei valori: i primi dieci prodotti Dop (fra i quali Parmigiano reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Prosciutto di Parma, Mela dell’Alto Adige, Mozzarella di Bufala Campana, Aceto Balsamico di Modena) realizzano oltre l’81% del fatturato complessivo. Un problema che Cesare Mazzetti, presidente della Fondazione Qualivita, spiega con una più “efficace attività di comunicazione da parte dei consorzi rappresentativi delle denominazioni più importanti” rispetto alle produzioni ‘minori’.

Il secondo terreno critico è quello della tutela dei marchi: sebbene in Italia la qualità sia garantita da 120 Consorzi di tutela riconosciuti dal Mipaaf e 48 organismi di certificazione autorizzati, per un complessivo numero effettuato di oltre 60.600 visite ispettive e 75.700 controlli analitici, il valore del falso è tutt’oggi incredibile. Alcuni passi in avanti sono stati realizzati con il Pacchetto Qualità che, con la protezione ‘ex officio’, impone agli Stati UE la tutela delle denominazioni d’origine contro i falsi, mentre nessun passo in avanti si prospetta negli accordi bilaterali con gli Usa. Il rischio semplificazione è però in agguato: spiega infatti Alberto Mattiacci, docente di Economia delle imprese dell’Università La Sapienza di Roma, che “non è scontato infatti che le iniziative anticontraffazione si traducano automaticamente in fatturato per le vere Dop. Molto meglio lavorare per ridurre il deficit di notorietà (in Italia solo un quarto dei consumatori dichiara di conoscere i prodotti a denominazione d’origine)”. In questo senso va il fortissimo sviluppo dello street food, un canale di distribuzione diffuso sul territorio ed efficace grazie alla sua carica sociale, capace di contribuire sensibilmente in termini di qualità di materie prime e conseguenti riconoscimenti con nuove certificazioni, come la Focaccia di Recco o la Piadina romagnola (entrambe Igp), veri emblemi del cibo di strada.

Quello delle produzioni certificate si conferma quindi un settore in piena evoluzione, ma nel quale si manifesta l’ennesimo primato nazionale italiano.

Gabriele Taddei

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