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Magistratura, impossibile non difendere Guido Crosetto

by Stelio Fergola
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magistratura crosetto

Roma, 19 dic – Dal mese scorso ad oggi, le polemiche per le dichiarazioni sulla magistratura di Guido Crosetto si sono moltiplicate. Il ministro della Difesa è stato costretto a riferire addirittura in Parlamento per dichiarazioni che – consentitecelo – rappresentano davvero la scoperta dell’acqua calda. Ma il potere dei giudici in Italia funziona così: pur essendo praticamente assolutistico e decidendo vita, morte e miracoli della politica, viene magicamente “otnubilato” nel tempo, come se non fosse mai esistito. Come se non ci fossero mai stati i vari Bettino Craxi, Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, ma anche gli Ottaviano Del Turco e perfino gli Ignazio Marino (per citare due nomi “puramente” di sinistra nel corso degli anni).

Magistratura? Impossibile non stare con Crosetto

Le critiche a questo governo sono sacrosante per la stragrande parte della sua attività (si salvano esclusivamente il no alla carne sintetica e la presa di posizione – grazie a Dio – contro il nuovo Patto di Stabilità, di cui andrà verificata la tenuta nel lungo periodo). Si potrebbe salvare anche la riforma della Giustizia, semmai veramente sarà realizzata, considerando che il totem è talmente solido da non essere riuscito a venir scalfito neanche da un certo signor Berlusconi che – importantissimo sottlinearlo, sempre – aveva un interesse personale prioritario a smuoverlo e cambiarlo (non si può, in sintesi, certamente parlare di “mancanza di volontà”). In ogni caso, al netto delle poche cose salvabili e delle tante criticabili, bisogna saper scindere e stare sul pezzo, quando occorre. E il pezzo è che sulla magistratura è impossibile non prendere le difese di Crosetto, il quale difende proprio l’idea della riforma con una frase netta, inoppugnabile: “Il Parlamento decide le regole dello Stato, non i giudici”.  Impossibile non difendere, impossibile non sostenere. A meno di non voler essere dissidenti per finta, di non cogliere l’occasione che – una volta tanto, magari per sbaglio, ma ci interessa poco il perché – la politica potrebbe promuovere per generare un cambiamento. Il cambiamento, in questo caso, riguarda un elemento fortemente condizionante le possibilità di questo Paese di uscire dal pantano di una politca serva e inutile: riformare la giustizia. Anche se la sola separazione delle carriere tra giudice e pm – sacrosanta, sia sempre chiaro – non basta.

La separazione è una condizione necessaria, ma non sufficiente

Non basterà, dobbiamo esserne consapevoli già adesso. Sempre ammesso e non concesso che si riesca – finalmente – a realizzarla. Svolgere ruoli diversi non ostacolerà completamente la possibilità che una magistratura politicizzata (come è quella che vige in Italia ad oggi, per opera di una minoranza potente o meno è del tutto secondario, rispetto al risultato finale) possa comunque “coordinare” le sue azioni in senso politico e indirizzato verso le “solite” vie costrittive di chiunque vada al governo. Quelle del progressismo, della globalizzazione, dell’immigrazionismo, dell’etica gender e chi più ne ha più ne metta.

Occorrerà effettuare un passo successivo, forse ancora più difficile al quale però bisogna comunque pensare: abolire le correnti “associazionistiche” interne all’Anm e allo stesso Csm. Niente più “Magistratura democratica”, ma niente più neanche “Magistratura indipendente” o “Unità per la Costituzione”. Vietato associarsi in senso politico. Se fai il magistrato, ci rinunci. E lo Stato deve impedirtelo. Altrimenti c’è un’alternativa semplicissima: non fare il magistrato, candidarsi per un partito politico o fondarne uno proprio. Sarà un passo ancora più “impossibile” perché – quasi certamente – scatenerà le solite isterie sulla mancanza di democrazia, sull’oppressione più varie ed eventuali democretinate che scopriremo solo vivendo. Ma sarà quello il passo davvero decisivo. Non per realizzare l’utopia di un corpus di giudici realmente imparziale, ma per ridurre al minimo la possibilità che si perpetri uno scempio come quello che viviamo da trent’anni a questa parte.

Stelio Fergola

 

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