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La precarietà non risparmia il pubblico impiego: sempre meno contratti stabili

by Salvatore Recupero
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Roma, 18 ago – La precarietà non risparmia il pubblico impiego. Questo è ciò che emerge dall’Annuario statistico della Ragioneria generale dello Stato aggiornato al 2016. ll numero dei dipendenti pubblici si ferma a 3 milioni 356 mila, segnando ancora un altro calo annuo (-0,2%), sintesi di una riduzione dei posti ‘fissi’ controbilanciata da una crescita di quelli precari. Rispetto all’anno prima si contano 29.687 occupati a tempo indeterminato in meno (-1%), mentre le unità di lavoro flessibili salgono di 22 718 (+7,8%). Il totale vede una discesa di 6.969 unità tra il 2015 e il 2016.
Al contrario di ciò che si può pensare, non si tratta di un dato congiunturale dovuto alla crisi economica. Infatti, il calo dei contratti a tempo indeterminato è una costante degli ultimi dieci anni. Vediamo perché. Se si guarda al dato complessivo, l’aggregato dei dipendenti mostra un calo sensibile dai 3,66 milioni del 2002 ai 3,35 milioni del 2016, con una riduzione quindi di 300.000 posti. Inoltre, l’abbassamento delle tutele contrattuali ha comportato una contrazione salariale per tutto il pubblico impiego. Nell’ultimo anno risulta in calo anche la retribuzione media complessiva, passata da 34.511 euro a 34.435. I livelli più bassi si registrano nella scuola (28.403), seguita dagli enti locali (29.081) e dai ministeri (30.695). Gli stipendi più alti spettano invece a magistrati (138.268), prefetti (93.026) e diplomatici (92.819). C’è da dire che questi dati non tengono conto dell’aumento salariale per il pubblico impiego concesso da Gentiloni a fine legislatura. Il regalo dell’ex premier nascondeva una trappola. Nella storia della contrattazione si è palesato per la prima volta “l’aumento con l’elastico”: un’integrazione temporanea (elemento perequativo) per sostenere i redditi più bassi che deve essere confermata di anno in anno.
Tornado al numero di precari nella pubblica amministrazione, questi numeri non ci sorprendono. L’anno scorso, il censimento permanente dell’Istat sulle istituzioni pubbliche parlava chiaro: “Al 31 dicembre 2015 sono attive 12.874 istituzioni pubbliche che impiegano 3.305.313 lavoratori dipendenti, di cui 293.804 a tempo determinato, pari all’8,4%, e 173.558 non dipendenti (collaboratori, altri atipici e lavoratori temporanei)”.
Questi dati, come dicevamo, non sono frutto del caso. Dietro c’è una precisa visione politica. Il pensiero neoliberista è convinto che solo promuovendo la flessibilità si può aumentare la produttività del lavoro. Ergo, applicare questo schema al pubblico impiego si traduce in un miglioramento del servizio offerto ai cittadini. La realtà, però, ci dice il contrario. La paura di perdere il lavoro o di non veder rinnovato il proprio contratto non migliora le competenze dei dipendenti. Anzi, crea un circuito vizioso tra precarietà e clientelismo che serve solo ad aumentare le preferenze del politicante di turno.
Salvatore Recupero

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2 comments

Luca 18 Agosto 2018 - 2:30

Ci sono troppi posti di lavoro pubblici “inventati” ossia creati per mantenere amici e parenti, ci sono mansioni del tutto inutili e improduttive, purtroppo questi posti di lavoro vanno soppressi e le relative risorse dirottate su investimenti e riduzione della pressione fiscale

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Eva 19 Agosto 2018 - 3:25

Non lo capiscono da decenni, io non ho ancora visto un concorso pubblico non truccato. Si assumono tra loro!!!

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