Roma, 2 mag – In certe occasioni non si sa se iniziare dalle buone o dalle cattive notizie. Nel dubbio, partiamo con le buone. Anzi, con la buona notizia: l’Italia si colloca ai vertici mondiali, poco sotto il Regno Unito e praticamente a pari merito col Canada, nella produttività della ricerca scientifica in rapporto al volume degli investimenti. Il grafico, tratto dall’autorevolissimo sito ROARS sulla ricerca scientifica, mostra l’andamento del numero di citazioni ricevute dagli articoli scientifici prodotti da ricercatori italiani per milione di dollari complessivamente investiti nella ricerca.
La ricerca italiana, quindi, è efficientissima. Tutto bene, allora? Niente affatto perché, nonostante il primo dato dimostri ancora una volta il genio italico (e si parla “soltanto” dei ricercatori rimasti a lavorare in Italia, senza considerare tutti quelli che sono emigrati nelle università e centri di ricerca all’estero), il nostro paese si colloca agli ultimissimi posti nel mondo sviluppato, così come nei 27 paesi che componevano l’Europa nel 2012, sia per gli investimenti nella ricerca scientifica rispetto al proprio PIL, sia per il numero di occupati nel settore, come risulterà chiaro nei successivi due grafici, costruiti su dati di fonte OCSE e riferiti proprio all’Europa.
Con meno del 1,3% del PIL rispetto alla media europea di quasi il 2%, gli investimenti italiani nella ricerca sono quart’ultimi in Europa e peggio di noi riescono a fare soltanto Polonia, Slovacchia e Grecia. In quanto al numero di occupati nel settore della ricerca scientifica, nonostante la ricorrente e alquanto demagogica narrativa sulle amministrazioni ipertrofiche, i dati parlano altrettanto chiaro e indicano la lontananza siderale rispetto ai nostri diretti concorrenti e partner europei: nel 2012, circa 200 mila occupati contro i 300 mila di Francia e Gran Bretagna e i 600 mila della Germania. Nonostante che questa differenza si sia leggermente ridotta negli ultimi 30 anni, essa rimane insostenibile.
Rimandando all’ottimo articolo di ROARS per un approfondimento sulle prestazioni assolute e comparate della ricerca nazionale, almeno una conclusione emerge con chiarezza: gli investimenti nella ricerca scientifica italiana sono estremamente redditizi perché i nostri ricercatori sono tra i migliori del mondo.
Di conseguenza, quello che suscita veramente pena e rabbia è la cronica mancanza di investimenti pubblici e privati, un limite fortissimo alle opportunità di sviluppo industriale e sociale e alla posizione dell’Italia in Europa e nel mondo, nonché all’occupazione di decine di migliaia di giovani e brillanti ricercatori oggi condannati – quando va bene – a lunghissimi anni di precariato o all’emigrazione.
Se oggi il prestigio della ricerca italiana è dovuto per lo più all’iniziativa spesso volontaristica di singoli ricercatori e gruppi, come – tra numerosi altri – quello di Mario Pagliaro a Palermo di cui si è già scritto, o di Franco Miglietta a Firenze col progetto europeo Eurochar e col consorzio nazionale Eurobioref, sono lontani i tempi dei “ragazzi di Via Panisperna”, un gruppo di giovani fisici e chimici per i quali con straordinaria lungimiranza fu costituito nel 1926 un centro di ricerca di eccellenza mondiale che portò, già entro la metà degli anni ’30, a dimostrare e progettare il controllo dell’energia nucleare e, subito dopo la guerra, alla costituzione del Cern per iniziativa del fisico Edoardo Amaldi.
Francesco Meneguzzo
1 commento
[…] di una simile norma, non certamente il mondo della ricerca che gode –anzi, soffre– di finanziamenti nella misera misura del 1,3% del Pil, quart’ultimi in Europa appena sopra Polonia, Slovacchia e Grecia, nonostante che i ricercatori […]