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Test psicoattitudinali per i magistrati? L’Anm frigna, ma il rumore è per nulla

by Stelio Fergola
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Roma, 27 – La decisione del Csm di introdurre i test psicoattitudinali per i magistrati per poter accedere alla professione ha scatenato il solito vespaio. Da parte Anm, ovviamente, perché in questa storia lunghissima che dura da decenni in cui i giudici vogliono decidere tutto (anche la politica) ma pretendono non vi sia nessuno a giudicarli o a regolarli, non ci si può aspettare altro.

Csm approva i test psicoattitudinali per i magistrati: la reazione dell’Anm

La stretta almeno sul tema dell’accrescimento del controllo pare perfino di una certa rilevanza. Sostanzialmente il Consiglio dei ministri, oltre ad approvare i test psicoattitudinali per i magistrati come requisito per accedere alla professione, si conferisce pure il diritto di nominare i docenti universitari membri della commissione giudicante. In teoria, quindi, si tratterebbe di un controbilanciamento tutto pendente dal lato della politica pura. Ovviamente l’Associazione nazionale magistrati frigna, ma era un copione già scritto. Il presidente Giuseppe Santalucia commenta così: “Più che una sciagura, è una norma simbolo, lo scopo era creare una suggestione nell’opinione pubblica: questi magistrati hanno bisogno di un controllo psichico. Temiamo l’arbitrarietà di giudizio. Chi stabilisce qual è la personalità adatta per fare il magistrato. Nessuna prova è più complessa della prova scritta. Siamo controllati come magistrati, ci sono 18 mesi di tirocinio con controlli puntuali”. In effetti, l’unico condizionamento di un provvedimento del genere pare di ordine culturale, più che di sostanziali “impedimenti” favoleggiati da qualcuno…

Magari fosse un problema “di testa”

Difficile comprendere su due piedi il senso del provvedimento, se non quello di mettere un po’ di pressione in più alla categoria, continuamente difesa dalla stampa e dalla cultura dominante al punto da passare indenne scandali giganteschi che l’hanno coinvolta solo negli ultimi anni (come il caso Luca Palamara, o come quello attualmente “in corso” dell’inchiesta di Perugia). Insomma, i giudici ne combinano di cotte e di crude ma a guardare tv e giornali pare che non accada mai nulla, per non parlare di libri che sull’argomento vendono centinaia di migliaia di copie ma che passano nel silenzio generale delle comunicazioni di massa. Ecco il senso della eventuale “pressione”. Perché di pratico ai fini dell’obiettivo che una riforma seria della Giustizia dovrebbe porsi (e come – va detto – l’azione dell’esecutivo finora sembra provare a fare sul serio, probabilmente come mai accaduto in passato), non c’è granché. Il problema dei magistrati in Italia non è certamente dovuto a mancanza di lucidità o di approccio psicologico: magari fosse così. Anzi, di lucidità ce n’è fin troppa, votata purtroppo alla malafede, come dimostrato dai tempi di Mani Pulite fino ad oggi. L’Anm protesta quasi per “dovere”, ma c’è ben poco da frignare: sono ben altre le questioni principali su cui agire. Alcune il governo le ha già messe sul piatto ed è vicino a una legiferazione definitiva (su abuso d’ufficio e intercettazioni, soprattutto), altre sono ancora in ghiaccio ma rappresentano l’orizzonte massimo di cambiamento che la politica (anche interessata, insegue da anni (la ormai celeberrima separazione delle carriere tra giudice e pm, una cosa non riuscita nemmeno a chi ne era interessato personalmente, come Silvio Berlusconi). La questione psicologica è troppo complessa per produrre effetti deflagranti, comunque la si veda sulla questione.

Stelio Fergola

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