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Tfr in busta? Piccole imprese dicono no, lavoratori divisi

by Filippo Burla
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Alberto Baban

Confindustria, Baban: «E’ una proposta che, anche ipotizzando una eventuale collaborazione con il sistema bancario, cosa ben poco credibile e ancor meno praticabile, non può che vederci totalmente contrari»

Roma, 4 ott – Dove non poté il bonus Irpef, il governo ci riprova con il Tfr. Il nocciolo della questione ruota tutto attorno ad un unico concetto: la domanda interna. Gli ormai proverbiali 80 euro non hanno dato alcuna spinta ad acquisti di beni e servizi e così, esauriti gli spazi di manovra per agire sulla parte della tassazione, il nuovo tentativo sembra assumere connotati ancora più goffi del primo.

«E’ una proposta che non può che vederci totalmente contrari», afferma il leader di Piccola Industria Alberto Baban. Le ipotesi circolate in questi giorni «andrebbero a toccare i fondi pensione e il fondo gestito dall’Inps per almeno 6 miliardi di euro e, per noi intollerabile, anche gli 11 miliardi l’anno che oggi restano in gran parte nelle imprese con meno di 50 addetti.  Risorse considerate un debito in bilancio, ma che di fatto rappresentano preziosa liquidità a disposizione», continua il rappresentante dell’associazione organica a Confindustria, che non risparmia una stoccata anche a Sergio Marchionne: «Un grande manager di una grande azienda che ha la fiscalità in Olanda e la contabilità a Londra il problema non ce l’ha, perché è un problema delle piccole e medie imprese». Queste sarebbe infatti costrette, qualora le bozze di intervento fossero confermate, ad indebitarsi ulteriormente. E non è detto che, nonostante le rassicurazioni da parte del governo e gli interventi di finanziamento varati da Draghi, le banche siano immediatamente disponibili ad allargare i cordoni della borsa.

Dal punto di vista dei lavoratori, la spaccatura è invece più netta. Due sondaggi condotti negli ultimi giorni, rispettivamente da Il Sole 24Ore e La Repubblica, mostrano un’Italia divisa: poco più del 50% degli italiani appoggerebbe l’idea di Renzi sull’anticipo della liquidazione, mentre il restante si mostra più prudente. Segno che la rinuncia al trattamento di fine rapporto a fronte di una sua corresponsione nell’immediato non è vista con favore. Per due motivi. Anzitutto, il tfr è una forma di previdenza complementare in sé e con un rendimento garantito dalle rivalutazioni periodiche, che non sono assicurate qualora lo strumento divenisse un semplice elemento della retribuzione mensile. In secondo luogo, se versato in busta paga perderebbe il diritto al suo trattamento fiscale, che è in genere di maggior favore rispetto all’imposta sui redditi: un guadagno nell’immediato, ma una perdita secca nel medio termine.

Filippo Burla

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