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Obama: "Entro 2030 taglio del 32% al Co2". Ma è una truffa

by Francesco Meneguzzo
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Il Presidente Usa Barack Obama


Washington, 4 ago – Se gli Stati Uniti non vincono una guerra vera contro un nemico vero almeno da ormai troppo tempo, quella contro i cambiamenti climatici non farà eccezione. Almeno se le armi saranno quelle scontate e spuntate annunciate questo 3 agosto nella solita scintillante cornice hollywoodiana tipica dei momenti storici veri o presunti.
Entro il 2030 – ha annunciato il presidente americano “anatra zoppaBarack Obama – saranno tagliate le emissioni dannose per il clima, prodotte dal sistema elettrico Usa, del 32% rispetto ai livelli del 2005. É questo il provvedimento contro il riscaldamento globale più importante, anzi l’unico, approvato finora dalla Casa Bianca: per la prima volta nella storia la superpotenza limita l’anidride carbonica che il proprio sistema elettrico potrà rilasciare in atmosfera.
Il tutto preceduto da un video molto incisivo rilasciato dagli strateghi comunicativi della Casa Bianca.

Un piano, ha sottolineato il presidente americano, che rappresenta “il passo più importante fatto dagli Usa in tema di cambiamento climatico”. Perché, ha avvertito, “i cambiamento climatici sono la minaccia più grande per il nostro futuro” e “se non affrontiamo nel modo giusto il problema potremmo passare il punto di non ritorno”.
L’annunciato “Clean power act”, sempre che sia poi fatto passare dal Congresso a maggioranza repubblicana, rappresenta il massimo dello sforzo che gli Usa hanno annunciato in vista della Cop 21 di Parigi (conferenza Onu sui cambiamenti climatici prevista per dicembre prossimo), insieme alla recente dichiarazione congiunta con la Cina, in cui quest’ultima si impegnava a non superare le emissioni di gas clima-alteranti…che produrrà nel 2030. Alla faccia degli impegni pressanti.
Un punto su tutti: la scienza impiega spesso decenni per convalidare grandi teorie scientifiche le cui ricadute tecnologiche, sanitarie e sociali possono essere molto vaste. Oggi il consenso sulla realtà del cambiamento climatico e l’attribuzione per la parte maggiore alle attività umane, supera il 95% ed è quindi virtualmente unanime, nonostante la sindrome opinionistica di gran voga tra i media. Obama lo riconosce esplicitamente e questo è certamente un punto a suo favore.
Questo consenso e a questo punto unanime riconoscimento, tuttavia, porta con se’ anche la possibilità che l’esito di tanto planetario esperimento possa non essere così graduale, ma tremendamente accelerato, come abbiamo documentato recentemente su queste colonne, il che richiederebbe una strategia più che incisiva, rapida e concreta. Insomma, o ci si crede e si agisce di conseguenza, o non ci si crede e non si fa niente sperando che gli scienziati si sbaglino.
Invece non tornano per niente i numeri, ed è questo dettaglio – che ai media impegnati nella gara di esaltazione dell’abbronzato presidente pare per lo più sfuggito – che rende il piano climatico americano del tutto irrilevante sia in senso assoluto sia per quanto riguarda lo sforzo stesso del gigante d’oltreoceano.
CO2-emissioni_Usa

Emissioni di CO2 in Usa, suddivise per fonte – dall’intero settore energetico (alto) e dal settore elettrico (basso)


In primo luogo, le emissioni di anidride carbonica (CO2) del settore elettrico Usa ammontavano nel 2005 – anno di riferimento per il piano di Obama – a circa 2,5 miliardi di tonnellate all’anno, su un totale di circa sei miliardi di tonnellate derivanti da tutti i consumi energetici americani (elettricità, riscaldamento, trasporti), cioè il 43% del totale, per cui il 32% di taglio nel settore elettrico si traduce nella diminuzione, al 2030, del 14% circa del totale delle emissioni del 2005.
Dal momento che le ulteriori misure del piano climatico Usa si riducono a interventi di efficienza energetica, che non hanno mai ridotto di un grammo le emissioni di gas serra, dobbiamo accontentarci del numero suddetto: un miserabile 14%.
Il meglio però viene ora: a causa della stagnazione dell’economia americana, la generazione elettrica è rimasta pressoché costante dal 2005, intorno a 4.000 TWh (TeraWattora), mostrando anzi dal 2012 una diminuzione intorno al 2,5% annuo. La generazione a carbone, la fonte di gran lunga più produttiva in termini di gas serra, è invece diminuita di ben il 20% dal 2005, a tutto vantaggio di quella a gas naturale, nel frattempo divenuto abbondante grazie al fracking, e – in misura minore – di quella eolica. Di conseguenza, le emissioni di anidride carbonica dal settore elettrico sono diminuite – dal 2005 a oggi – almeno del 15%.
Che è come dire che circa metà dei tagli alle emissioni sono già avvenuti per puri e semplici meccanismi economici, e così continuando – a perdere attività manifatturiere o a delocalizzarle – nel 2030 o anche parecchio prima l’ambizioso obiettivo climatico sarà raggiunto senza colpo ferire.
In pratica, Obama ha spacciato per piano rivoluzionario, destinato nelle sue intenzioni a metterlo alla testa del mondo libero dall’anidride carbonica, una banale certificazione delle tendenze in corso che con la lotta ai cambiamenti climatici non c’entrano niente. Soprattutto, che invece – dato che le emissioni complessive di CO2 continuano ad aumentare – hanno comportato soltanto la delocalizzazione delle emissioni stesse insieme a quelle dei centri produttivi.
Forse unica nota blandamente positiva, la pianificazione per il 2020-2021 dell’istituzione di un nuovo meccanismo incentivante per le fonti energetiche rinnovabili, basato su certificati scambiabili in un mercato unico. Non a caso, comunque, collocato così avanti nel tempo che, eventualmente, nessuno se ne ricorderà, tanto più che l’obiettivo del 28% della potenza elettrica installata costituita da fonti rinnovabili al 2030 appare decisamente ridicolo: in Italia solo la potenza solare fotovoltaica supera già oggi il 30% (corrispondente a oltre il 10% dell’elettricità generata sul totale).
Forse il problema climatico, ammesso che ci si creda, è troppo grande e ramificato nelle sue implicazioni globali per poter essere davvero affrontato con qualche speranza di successo. Magari, però, gli scienziati stanno sbagliando tutto.
Francesco Meneguzzo

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