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Il “quantitative easing” di Draghi: un danno per l’Italia e l’Europa

by Francesco Meneguzzo
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Mario DraghiRoma, 9 gen – La cronaca è abbastanza semplice e lineare: il presidente della banca centrale europea (Bce), Mario Draghi, annuncia ieri che il prossimo consiglio direttivo assumerà all’unanimità la decisione di adottare misure non convenzionali per alleggerire i debiti pubblici dell’eurozona, che tradotto significa acquisto dei titoli di stato per circa mille miliardi di euro, secondo criteri da definire (proporzionalmente al Pil, alle quote di proprietà della Bce stessa, altri schemi ibridi). Di conseguenza, le borse ieri hanno segnato un rimbalzo poderoso, tanto che a Piazza Affari il Ftse Mib ha guadagnato il 3,69% e lo spread, o differenziale di rendimento tra titoli di stato italiani (Btp) e tedeschi (Bund) si è ridotto a 133 punti base.

Alle misure prospettate da Draghi si sono poi sommate ulteriori notizie apparentemente positive, come il presunto interesse della grande banca spagnola Santander per il gruppo Mps, il valore delle cui azioni è infatti cresciuto di ben il 12,3%, e che se nel caso si traduca in realtà significherà piuttosto l’addio per l’Italia a un altro pezzo di storia e di valore perché come sempre accade quando si sposta la proprietà seguono anche la testa e le relative prerogative decisionali.

Su queste stesse colonne sono già state ampiamente analizzate le modalità con cui può essere realizzato un alleggerimento quantitativo (QE, o quantitative easing, in inglese), che poi significa né più né meno che stampare moneta a debito, o moneta a corso forzoso (anche detta fiat), un’azione che in sé non può essere definita a priori positiva o negativa. Essa può essere infatti utilizzata per salvare le banche ripianandone i bilanci intossicati da titoli inesigibili (prima ipotesi), opzione che è generalmente negativa per l’economia reale ma positiva per le borse, oppure per regalare soldi ai contribuenti mediante redditi di cittadinanza, sgravi fiscali e così via (seconda ipotesi), che può essere positiva o negativa secondo il grado di tutela del potere d’acquisto dall’inflazione, infine per finanziare un vasto programma di investimenti infrastrutturali di lungo periodo (terza ipotesi), che di solito è positiva in quanto di stimolo all’economia produttiva e all’occupazione.

Rimandando all’articolo già citato per un approfondimento, cerchiamo qui di capire la reale finalità delle misure di alleggerimento quantitativo.

Per prima cosa, le due precedenti operazioni messe in campo dalla Bce di Draghi, denominate LTRO (piano di rifinanziamento a lungo termine), eseguite il 22 dicembre 2011 e il 29 febbraio 2012 e destinate a rifinanziare le banche a lungo termine con tassi bassissimi, per un totale di oltre mille miliardi di euro, in cambio di garanzie e collaterali consistenti per lo più in titoli di stato, hanno probabilmente evitato il fallimento di molte banche particolarmente esposte ai titoli tossici acquisiti prima e in conseguenza della crisi finanziaria del 2008, ma non hanno portato ad alcun effetto tangibile per l’economia reale dell’eurozona che infatti, come illustrato su queste colonne, si trova ad affrontare una drammatica deflazione estesa ai prezzi di gran parte del paniere merceologico.

Se tuttavia vogliamo trovare indizi più consistenti sulla reale finalità di misure come quelle prospettate dalla Bce, è utile analizzare quanto avvenuto da molto più tempo nel Paese che da decenni è progressivamente passato da un regime finanziario fondato sulla tassazione a uno basato sulla stampa (o creazione) del denaro, cioè gli Stati Uniti d’America. Ci soccorre in questo senso un’approfondita analisi appena pubblicata dal portale di analisi finanziarie ZeroHedge.

Curva LafferNel caso in cui un sistema sia fondato sulla tassazione, il governo e i contribuenti tendono a trovare un punto di lavoro ottimale, recentemente rappresentato su questo giornale mediante la famosa curva di Laffer, in corrispondenza del quale a un livello medio di tassazione generalmente assai moderato e comunque non superiore al 30% (ma anche inferiore) corrisponde il massimo gettito e anche l’ideale velocità di crescita dell’economia nazionale. Governo e governati, in altre parole e semplificando, collaborano sinergicamente per il bene comune.

qeNel caso in cui un sistema sia invece basato sulla creazione del denaro, secondo gli analisti di ZeroHedge l’obiettivo è sempre quello di circoscrivere i beneficiari della liquidità immessa a una cerchia particolarmente ristretta, vale a dire chi gestisce la creazione del denaro, i quali avranno a loro volta l’unico scopo di preservare il valore nominale delle enormi quantità di denaro generate dal nulla.

In questo caso, al fine di massimizzare il valore della divisa si procede in genere con le seguenti principali misure strutturali, tutte orientate a creare una domanda elevata e sempre in espansione della propria moneta:

  • aumento della tassazione, che induce i contribuenti a richiedere una quantità di denaro sempre maggiore, con l’effetto inevitabile di deprimere l’economia reale produttiva: un effetto, quest’ultimo, che conosciamo bene sulla nostra pelle e che abbiamo recentemente reso evidente per gli stessi Stati Uniti;
  • espansione della domanda della propria divisa all’estero, per esempio imponendo che lo scambio di beni primari ad altissima domanda avvenga nella moneta d’interesse: è il caso eclatante del petrolio scambiato in dollari Usa;
  • creazione di elevati livelli di debito, sia pubblico che privato, ottenuto per esempio con i mutui subprime, col risultato di produrre una altissima domanda di denaro e, nuovamente, deprimere l’economia reale;
  • incremento del mercato di beni e servizi a basso prezzo denominati nella moneta d’interesse, per esempio attraverso il commercio elettronico basato nel Paese dominante, che a sua volta produce una richiesta gigantesca della moneta creata dal nulla (tragedia del gratis, ne scrivemmo qui tempo fa);
  • favorire o imporre l’aggancio di monete straniere alla propria, come accaduto finora con la divisa cinese Yuan rispetto al dollaro Usa, col risultato di esaltare il valore di quest’ultimo;
  • speculazione sui mercati acquistando la propria divisa, in modo da aumentarne il valore, tutto questo al costo di deprimere la concorrenzialità dell’economia reale rispetto alle esportazioni;
  • compressione dei salari per evitare la distribuzione della ricchezza creata dal nulla al di fuori della ristretta cerchia oligarchica, ottenuta di solito indirettamente per mezzo dell’espansione del lavoro femminile (spacciato per conquista sociale e di genere), dell’apertura indiscriminata all’immigrazione (concorrenzialità al ribasso sui salari), delegittimazione e di fatto soppressione dei sindacati di categoria a favore della contrattazione privata e della concorrenza globale – al ribasso – sui livelli salariali;
  • periodica tosatura dei piccoli investitori, mediante controllo speculativo nel brevissimo termine dei listini azionari;
  • promozione del libero commercio, al fine di comprimere i prezzi dei prodotti (dumping salariale e ambientale) e ampliare la base di richiesta della moneta – uno scenario che l’eventuale adozione del Ttip renderà particolarmente drammatico per l’Europa);
  • controllo dei governi e delle banche centrali, utilizzando parte della ricchezza concentrata in poche mani a fini di corruzione, ricatto e intimidazione.

Uno scenario già non tanto lontano dalla realtà dei fatti, sia italiana che europea.

Francesco Meneguzzo

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2 comments

Eurispes shock: quasi metà degli Italiani vogliono abbandonare l'Euro | IL PRIMATO NAZIONALE 31 Gennaio 2015 - 10:30

[…] Considerazioni, queste, che sanno tanto di politica relegata al ruolo marginale di servitrice degli interessi finanziari e bancari sovranazionali, i quali attraverso l’aumento praticamente illimitato della tassazione costringono i contribuenti a richiedere una quantità di denaro sempre maggiore, con l’effetto inevitabile di deprimere l’economia reale produttiva e, all’opposto, di arricchire sempre più l’olimpo  parassitario dell’intoccabile 1% al vertice, come abbiamo già illustrato su queste colonne. […]

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Spread ai minimi storici: ecco perché non è una buona notizia | IL PRIMATO NAZIONALE 27 Febbraio 2015 - 1:37

[…] resto, tutto era chiaro fin da quando titolammo, quasi tre mesi fa, che il quantitative easing di Draghi sarebbe stato un danno per l’Italia e l’Europa, poiché […]

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