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Ma quale salutismo, il cancro è questione di sfiga

by Francesco Meneguzzo
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figura_1Roma, 3 gen – Lo studio sull’origine dell’insorgenza di patologie neoplastiche, cioè del cancro, condotto da due ricercatori della Johns Hopkins University a Baltimora, Maryland, Usa, Bert Vogelstein e Cristian Tomasetti, quest’ultimo di evidenti radici italiane, appare in principio tanto (relativamente) semplice quanto rivoluzionario.

Per chiarire subito di cosa si tratta, e non sarà una gran bella notizia per tutti coloro che a ogni effetto pretendono di associare una causa deterministica: circa i due terzi dei casi di cancro intervengono per puro caso. Non c’è causa, non c’è modo di impedirlo, e se vorrete vedere in questo la sfortuna, una qualche cabala, o ancora la mano di Dio, nessuno potrà obiettare.

Fattori esterni come l’ereditarietà, gli stili di vita tra cui fumo, alcool e alimentazione, le radiazioni, l’esposizione all’amianto, e così via, sono solo effetti addizionali, che in pratica si sommano alla componente del tutto casuale e per questo inevitabile.

Quello che il “veterano” Vogelstein e il giovane Tomasetti hanno scoperto è che la probabilità che un tessuto sia attaccato dal cancro, a parità di fattori ereditari e di altri fattori esterni, è proporzionale al numero totale di divisioni cellulari delle cellule staminali. Queste ultime sono le cellule di gran lunga più longeve, le uniche in grado di auto-rinnovarsi e che presiedono allo sviluppo e al mantenimento dell’architettura del tessuto. Ebbene, oltre alla funzione indispensabile delle cellule staminali, nonché alle immense possibilità di cura che si sono aperte dall’utilizzo delle stesse cellule, sfortunatamente nel corso della loro duplicazione possono intervenire errori del tutto casuali del DNA trasmesso alle successive cellule, e sono proprio tali errori genetici che occasionalmente, ripetendosi e cumulandosi, possono portare all’insorgenza del cancro.

Perché?. Questa è spesso la prima parola che ricorre a fronte di una diagnosi di cancro. “Questa è una domanda perfettamente ragionevole”, afferma Bert Vogelstein, il genetista che ha passato una vita tentando di rispondere. C’è voluto però il matematico applicato Cristian Tomasetti per arrivare a una risposta convincente, appunto la sfortuna biologica.

Nell’articolo appena pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Science, i due ricercatori hanno sviluppato un sistema matematico per spiegare la genesi del cancro. Più in dettaglio: prendiamo il numero di cellule in un organo, identifichiamo quale percentuale di tali cellule sono staminali e quindi a lunga vita, e determiniamo quante volte esse si dividono, cioè a quale velocità. In corrispondenza di ciascuna divisione, esiste un rischio di mutazione cancerogena di una cellula figlia.

Il ragionamento prosegue considerando che i tessuti che ospitano il numero più grande di divisioni delle cellule staminali – risultato della specifica numerosità della popolazione di tali cellule e della specifica velocità di divisione – sono quelli più vulnerabili al cancro. Come afferma Martin Nowak, un collaboratore dei due autori dello studio, “si tratta di un rischio fondamentale che deriva dall’essere un animale con cellule che necessitano di dividersi”. Un rischio, appunto, inevitabile e ineliminabile.

scatterRappresentando il numero totale di divisioni delle cellule staminali nel corso della vita media umana contro il rischio di contrarre il cancro nel corso della vita in 31 differenti organi ha rivelato una robusta e significativa correlazione: al crescere del numero di divisioni, cresce anche il rischio. Il cancro del colon, per esempio, è molto più comune rispetto al cancro del duodeno, il primo tratto dell’intestino tenue. Questo è verificato anche nei portatori di un gene mutato che mette a rischio l’intero loro intestino. Tomasetti ha trovato che ci sono circa 1012 (mille miliardi) di divisioni di cellule staminali nel colon durante la vita, rispetto alle “sole” 1010 (dieci miliardi) nel duodeno. I topi, al contrario, hanno più divisioni di cellule staminali nel loro intestino tenue – e corrispondentemente una maggiore occorrenza di cancro – rispetto al loro colon.

La linea che porta dalle mutazioni al cancro non è necessariamente diretta. “Non si tratta soltanto dell’occorrenza o meno di una mutazione”, afferma Bruce Ponder, un ricercatore di lunga data all’Università di Cambridge, GB. “Possono esserci altri fattori nel tessuto che determinano se la mutazione è conservata e se essa possa innescare un’evoluzione maligna”.

Di fatto, distinguendo le cause fondamentali, di carattere genetico, dai fattori ambientali, lo studio ha comunque potuto spiegare ben i due terzi di tutte le occorrenze di cancro. Tra questi, particolarmente grave sebbene fortunatamente non troppo frequente, è il cancro al pancreas, che appare legato praticamente in modo esclusivo alla sfortuna biologica; al fato, appunto.

Secondo Vogelstein, un importante messaggio è che il cancro spesso non può essere prevenuto, e che “maggiori risorse dovrebbero essere finalizzate a rivelarlo nel suo primo stadio”.

Nonostante questo, e nonostante che un rischio residuo sia ineliminabile, rimane il fatto che almeno un terzo degli episodi di cancro possono essere evitati migliorando il proprio stile di vita e gli altri fattori ambientali noti per la relativa pericolosità.

Sul piano psicologico, infine, sebbene apprendere che in fondo siamo in mano a un fato capriccioso e imprevedibile possa inizialmente terrorizzante per una persona sana, per un paziente oncologico che abbia contratto la malattia senza evidenti ragioni può invece essere consolatorio sapere che la malattia non deriva da qualche suo errore o comportamento errato, eliminando così inutili sensi di colpa e, probabilmente, aiutando a combattere la malattia.

Francesco Meneguzzo

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