Roma, 24 mag – Il giornalismo, spescialmente nei teatri di guerra, è incentrato sulla fotografia, un mestiere che Gabriele Micalizzi conosce fin troppo bene, per usare un eufemismo. Da membro della giuria del primo Premio Almerigo Grilz, è di conseguenza ancora più interessante conoscere le sue opinioni professionali nel merito. Ecco perché lo abbiamo raggiunto e intervistato, dopo il grande successo della manifestazione.
Giovani che seguano l’esempio di Grilz: intervista a Gabriele Micalizzi
Inevitabile partire dall’uomo che dà il nome a questo nuovo premio: ci farebbe un commento sulla figura di Almerigo Grilz?Una personalità che è morta mettendo il proprio lavoro davanti a tutto, nel vero senso della parola.
Purtroppo non ho conosciuto personalmente Almerigo, ma ho visto molto del suo lavoro da corrispondente nei teatri di guerra. Fausto Biloslavo e Gian Micalessin mi hanno raccontato molto di lui. Un avventuriero sprezzante del pericolo che già in quegli anni era pioniere del giornalismo multidisciplinare. Dai suoi video si capisce quanto era più complicato il lavoro del reporter, dal viaggiare in guerre sperdute nelle giungle o sulle montagne innevate Afghane, con attrezzatura scomoda girando in pellicola 2 minuti alla volta. Non era una cosa per tutti. Si sà, i triestini “gente tagliata con l’accetta”.
Lui disegnava, scriveva, riprendeva.. Poi il fatto che l’ultima immagine che ha filmato è proprio la sua morte mi fa riflettere.
Io ho avuto un’esperienza simile ed in quel momento ho pensato che quello stavo facendo era importante. Quando credi in qualcosa veramente ne accetti anche i rischi, e va bene così. Forse lo ha pensato anche lui. Il suo motto infatti era “Why Not?”.
Abbiamo intervistato nel tema altri giornalisti di guerra come Micalessin. C’è stato molto clamore per
l’organizzazione di questo premio. Qual è il tuo giudizio, com’è andata questa prima edizione?
A mio avviso la finalità di questo premio era quella di dare un finanziamento, e la possibilità, a dei giovani di produrre dei nuovi lavori. In questi tempi dove il giornalismo diventa sempre più opinionismo e dove l’editoria non investe nella ricerca di storie ma rimpasta le agenzie, direi che è un iniziativa molto positiva. Il giornalismo deve essere neutrale agli schieramenti. Come si fa a raccontare una storia se ancor prima di partire hai già una visione preconfezionata. Se non metti in discussione il tuo punto di vista, come fai a capire altre culture altri modo di pensare… Servono i fatti, le testimonianze e non dei pensieri qualunquisti. La giuria era molto seria, varia e professionale.
Il premio Grilz può costituire un punto di svolta per uno sguardo giornalistico più variegato rispetto alle interpretazioni dominanti, soprattutto quando si parla di scenari di guerrA?
I premi sono un’opportunità per investire nei giovani. Questo modo di pensare non esiste in generale nel giornalismo italiano. Non credo che si una questione di visioni dominanti, ma credo che non ci sia proprio più un’ idea di giornalismo.
Oggi se vuoi seguire un conflitto non puoi più coprire entrambe le parti, perché ti viene negato l’accesso dopo che hai seguito uno dei due lati, Una storia per essere raccontata bene deve essere affrontata da più punti di vista. Se no non avrai mai il quadro generale.
Un commento sui premiati
Hanno tutti caratteristiche diverse, ma sicuramente hanno tutti la voglia di stare sul campo. Questo mestiere ha bisogno di nuove linfa e nuovi linguaggi. Qualcuno una volta mi disse: “Siamo la storia che faremo, e non quella che abbiamo fatto”
Quindi aspetto di vedere i loro prossimi reportage.
Come vivi in prima persona la tua esperienza di fotoreporter?
Ho iniziato circa 16 anni fa, e il mestiere è davvero cambiato. Dopo tanti chilomentri e cicatrici, comunque non mi è passata la voglia. Quindi direi gioie e dolori.
Stelio Fergola