Roma, 27 mar – Tanto rumore per nulla, è il caso di dirlo. Il calciatore dell’Inter Francesco Acerbi è stato assolto dalle accuse di comportamento antisportivo per i presunti insulti razzisti che avrebbe rifilato al difensore del Napoli Juan Jesus. Ma se la giustizia sportiva è tornata al buon senso, così non è per il circo mediatico che si è agitato intorno alla vicenda.
La decisione del giudice sportivo
Il giudice sportivo Gerardo Mastrandea spiega l’assoluzione di Acerbi affermando che non si è raggiunto il “livello minimo di ragionevole certezza” circa il contenuto discriminatorio delle offese rivolte a Juan Jesus e come questa “risulta essere stato percepito dal solo calciatore ‘offeso’, senza dunque il supporto di alcun riscontro probatorio esterno, che sia audio, video e finanche testimoniale”. In altre parole, non c’è la minima prova. Ma questo era evidente anche prima che sul caso si pronunciasse la giustizia sportiva. Anzi, essere dovuti arrivare fino a questo punto per stabilire l’ovvio sembra al di là di ogni buon senso. Ricordiamo che nel frattempo Acerbi ha dovuto saltare due partite della Nazionale e rischiava fino a dieci giornate di squalifica, un’eternità. Oltre a dover subire il peso di una gogna mediatica piuttosto violenta. Uno scenario quasi kafkiano, il tutto perché a venire agitato era lo spettro del razzismo. Proprio questo è diventato l’alibi perfetto di ogni trinarciuto progressista.
L’alibi dell’antirazzismo
L’accusa di razzismo è più forte di qualsiasi basilare principio di giustizia, come quello che per venire condannati serve qualche prova e non semplicemente le dicerie della controporte. Il tribunale del popolo aveva già emesso la sua condanna: Acerbi doveva essere punito, anche solo per l’ipotesi di aver dato del “negro” a Juan Jesus. La realtà dei fatti era e rimane secondaria. Tant’è che c’è chi – come La Repubblica – si lamenta della decisione del giudice sportivo accusandolo di aver mancato di coraggio, di essere una specie di don Abbondio o di Ponzio Pilato. In altre parole, avrebbe dovuto condannare Acerbi a prescindere dalle prove concrete in ossequio a una fondamentale “partita tra civiltà e barbarie”. E descrivo gli scenari apocalittici a cui porterà questa sconfitta: “Si potrà offendere qualcuno sottovoce, oppure dare del negro a un avversario coprendosi la bocca”. Oltre al risveglio della bestia: “Si scatenano le curve”. Si salvi chi può.
Il divide et impera ai danni della tifoserie
Il punto è anche questo, le accuse contro Acerbi non sono ingiuste solamente perché infondate, ma perché eccessive. Il vero mostro nella stanza sono le idiosincrasie e i fanatismi dell’antirazzismo. Quell’auto-acciecamento che fa sì che Juan Jesus venga creduto a prescindere per il solo fatto di essere “vittima” o, meglio, di appartenere a una qualche “categoria protetta”, che imita per puro provincialismo i deliri d’oltreoceano sulla parola negro, che in nome di un insulto di campo – peraltro inizialmente chiarito tra i due – scatena odio e veleni ben peggiori. Non solo, che i protagonisti della vicenda siano due calciatori è un pericoloso cavallo di Troia. Come giustamente nota Stelio Fergola, le antipatie fra tifoserie vengono usate per uno squallido divide et impera, al fine di far interiorizzare la morale antirazzista. Con i tifosi che, pur di difendere i propri beniamini, si sono accapigliati sulla vicenda dei presunti insulti razzisti come se fosse un problema autentico, accettando di fatto il sostrato ideologico dietro tutto questo.
Michele Iozzino