Roma, 17 – Si possono pagare 130 miliardi di euro senza trarne alcun vantaggio? Sì, se questo “investimento” si chiama austerità ed è stata la strada scelta negli ultimi dieci anni per tentare, con risultati spesso del tutto contrari alle aspettative, di uscire dalla crisi nella quale l’Europa – e con essa l’Italia – è piombata.
A tracciare il terribile bilancio dell’impostazione di politica economica in vigore dal 2008 ad oggi è Confesercenti, che parla senza mezzi termini di fallimento. Secondo l’associazione dei commercianti, che ha commissionato lo studio a Ref ricerche, “La correzione dei conti pubblici è costata all’Italia, negli ultimi 10 anni, circa 130 miliardi di euro, di cui circa la metà provenienti dalle sole maggiori entrate”. La somma deriva dai calcoli fatti sulle manovre finanziarie varate negli anni, delle quali “solo tre su dieci hanno avuto carattere espansivo” con un saldo tra entrate e spese decisamente “a favore di queste ultime”. E’ vero che di recente si è in parte abbandonato il sistema dei tagli drastici, ma parlare di manovre espansive è prematuro: al più si può dire che le ultime sono state “neutrali”, spiegano da Confesercenti.
I risultati? L’austerità “si può stimare che abbia sottratto negli anni scorsi alla crescita italiana circa 6 punti di Pil“, è il terribile bilancio, che evidenzia anche come nonostante la stabilità finanziaria raggiunta sui mercati “nel 2016 ci ritroviamo esattamente con lo stesso livello del deficit pubblico del 2008 e con un debito che è aumentato di oltre 30 punti di Pil. Un risultato evidentemente fallimentare considerando i gravi costi economici e sociali che sono derivati dalla crisi”.
Filippo Burla