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Coronavirus: riscoprire l’economia di guerra di Keynes per superare la crisi

by Claudio Freschi
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John maynard Keynes

Roma, 5 apr – Sembra che la tragedia del coronavirus abbia improvvisamente risvegliato l’interesse per John Maynard Keynes. Economisti e commentatori, anche insospettabili da sempre fedeli alle teorie neoliberiste, si scoprono sostenitori più o meno appassionati delle idee keynesiane. Di colpo ci si è resi conto della follia dei tagli alla sanità pubblica, delle privatizzazioni selvagge, dell’impreparazione di uno Stato ridotto ad essere economicamente spettatore nemmeno privilegiato. Oggi parlano tutti del fallimento delle misure di austerità, e della necessità di finanziare l’opera di ricostruzione economica che ci aspetta con l’aumento della spesa pubblica, infischiandosene dei rigidi paletti imposti dalle regole europee. Anche chi, come il tanto osannato Draghi, ne è stato in realtà uno dei principali ed entusiasti paladini.

L’economia di guerra secondo Keynes

Se tutti citano più o meno correttamente la “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” e le politiche di stimolo che vi si possono trovare, in pochi prendono in considerazione un’opera minore di Keynes “How to pay for the war”, (Come pagare per la guerra) scritta nel 1940. In questo libro Keynes si pose il problema di affrontare dal punto di vista pratico gli enormi costi che la seconda guerra mondiale avrebbe comportato per la Gran Bretagna e le inevitabili conseguenze economiche. E’ interessante analizzare le risposte fornite dall’economista di Cambridge in una situazione, come l’attuale emergenza Covid-19, da molti considerata alla stregua di una vera e propria guerra, con molte vittime ed una conseguente crisi economica.

Esattamente come in una situazione bellica, i governi si troveranno di fronte ad un doppio problema, da un lato trovare delle risorse per fronteggiarne gli astronomici costi, dall’altro sostenere il consumo privato per affrontare l’inevitabile crisi di domanda che scaturirà dal prolungarsi dell’emergenza sanitaria. Ma mentre per la copertura finanziaria la soluzione proposta è, ora come allora, l’aumento del debito pubblico, più difficile risulta lo studio su come migliorare la domanda interna e stimolare quindi l’attività produttiva e la crescita economica.

Per combattere l’inevitabile calo della domanda e al tempo stesso tenere sotto controllo l’inflazione, Keynes individuava quattro punti fondamentali:

–              L’elargizione di contributi in denaro per le famiglie

–              La distribuzione di prodotti essenziali

–              Una tassazione progressiva sul capitale

–              La generazione di un risparmio forzato

Il coronavirus come una guerra

Proviamo ad immaginare, senza ovviamente nessuna pretesa scientifica, come applicare i punti sopra esposti da Keynes alla situazione che tutti stiamo vivendo in questi giorni, giocando ma non troppo, sul termine “economia di guerra” ovvero sull’insieme delle misure necessarie per affrontare una crisi senza precedenti come quella portata dalla pandemia. Appare evidente come alcuni se non tutti i punti affrontati da Keynes, siano già stati presi in considerazione.

Riguardo all’elargizione dei contributi in denaro, riservati soprattutto alle fasce meno abbienti, vi è un generale consenso. In molte parti del mondo, e timidamente anche in Italia, si sta pensando ad una sorta di reddito universale temporaneo. In pochi si spingono a pensare all’helicopter money, ovvero alla distribuzione di una somma di denaro, per un periodo limitato, a tutti i cittadini di un dato paese, ma sicuramente misure come i bonus di 600 euro per le partite iva in Italia, o i 1.000 dollari per i disoccupati negli Stati Uniti, vanno nella direzione di sostenere le famiglie in difficoltà e in qualche modo a sostenere il consumo, seppur di beni essenziali.

Anche sulla distribuzione di prodotti di prima necessità qualcosa si sta muovendo. Ovviamente l’ottica di oggi è lievemente diversa rispetto a quella pensata da Keynes. Se in entrambi i casi il fine è tutelare i più deboli, in tempi di guerra vi era una maggiore scarsità di risorse e quindi l’intervento dello Stato era volto ad assistere materialmente i cittadini che anche avendo i soldi non trovavano i beni essenziali se non pagandoli a peso d’oro.

La tassazione progressiva è sicuramente una misura poco popolare e che sarà difficile da fare accettare a qualsiasi latitudine mondiale. D’altronde persino Keynes ha sempre affermato che esistono momenti in cui fare debito e momenti in cui tenerlo sotto controllo. Da questo punto di vista l’economista vedeva la guerra come una straordinaria opportunità di riforma del sistema, con l’obiettivo dichiarato di una maggiore equità sociale. E’ perfettamente normale che le misure straordinarie previste da crisi di così grande impatto, andranno in qualche modo riequilibrate. I sostanziosi interventi pubblici finanziati a debito avrebbero dovuto essere ripagati da un lato dall’aumento dell’imponibile attraverso la piena occupazione, dall’altro attraverso una tassazione fortemente progressiva del capitale.

La generazione di un risparmio forzato è forse il punto che ha bisogno di qualche approfondimento in più. I talebani del liberismo hanno sempre sostenuto che “stampare moneta”, vera o elettronica come ai giorni nostri, e quindi aumentare la liquidità attraverso interventi pubblici avrebbe portato esclusivamente ad una inflazione fuori controllo. Sebbene nella storia economica vi siano molti casi che confutino questa tesi, Keynes era comunque ossessionato dagli errori commessi dopo la prima guerra mondiale, per questo motivo propose un risparmio forzato per evitare che le misure espansive generassero inflazione. Se infatti i cittadini non fossero costretti a risparmiare, Keynes pensava che avrebbero acquistato la stessa quantità di beni, ma contribuendo al loro aumento di prezzo data la scarsità di beni in circolazione in tempo di guerra. In una situazione in cui fosse necessario un aumento della tassazione per sostenere le spese della guerra, questa avrebbe pesato più sui lavoratori che si trovavano a pagare di più gli stessi beni, rispetto agli imprenditori che vedevano invece aumentare i loro profitti in seguito all’aumento dei prezzi di vendita.  Per questo motivo Keynes ebbe l’intuizione del “consumo dilazionato”, ovvero invece di tassare i salari dei lavoratori, impedendogli di raccogliere i frutti del loro lavoro per sempre, propose di ritardare i loro consumi depositando una parte del loro salario in conti “bloccati”, resi disponibili una volta terminata la guerra per consentire di ritrovare una sorta di normalità.  Questa misura avrebbe limitato l’inflazione e allo stesso tempo contribuito alla ripresa della domanda una volta finita la guerra.

In realtà questa sorta di risparmio forzato sta già in qualche modo avvenendo senza bisogno di misure keynesiane. L’isolamento sociale e la chiusura forzata di tantissime attività non essenziali hanno fatto in modo che, chi continua a percepire uno stipendio, di fatto è “costretto” a risparmiare, non potendo materialmente spendere quanto era abituato a fare in tempi normali. E questo potrà essere utilizzato in un secondo momento a crisi finita, e servirà decisamente come stimolo per la ripresa.

L’insegnamento che possiamo trarre da Keynes è che il ruolo dello Stato nella gestione di questa crisi dovrà necessariamente essere ben più ampio. Con buona pace dei neoliberisti, dato che in una situazione di emergenza la parola libero mercato perde ogni significato.

Claudio Freschi

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1 commento

Fabio Crociato 5 Aprile 2020 - 3:13

Per prima cosa non siamo in guerra! Stiamo solo cercando di gestire una epidemia causata da uno stato lontano. La gestiamo male perché paghiamo il frutto di ignoranza, rilassatezza e latrocini di decenni! Il vero mercato non è mai esistito, salvo casi rari, men che meno lo Stato etico che lo consentisse, ispirato con l’ animo e lo spirito tradizionale a sovrastarlo con il buon esempio! Senza etica, i soldi, sia gli individui che lo staterello, se li divorano, con una differenza: taluni si mangiano soldi di altri. Abbiamo un padre solo… se lo rispettiamo e Lui ci rispetta, in casa, in terra ed in cielo. Trinità? Creare domanda forzata nei tempi e nei modi, fare buche (!), per ricompensare, subordinando e riprendendo poi con gli interessi elastici, questo è Keynes…, nient’ altro che uno sfruttamento posticipato e mascherato. Abbiamo bisogno di una nuova Teoria del Valore per consentire che la materia limitata in quantità e qualità sia rapportabile nei tempi e nei modi all’ esigenze di una popolazione numericamente esplosiva (rispetto ai tempi di Keynes), non falcidiata da virus e da guerre percentualmente come nei primi del novecento, quindi da “dissetare” con conoscenza, alimenti, alimenti, conoscenza (causa-effetto, effetto-causa),… pena la scomparsa. Oggi, gli Stati democratici sono come le buche Keynesiane…, oltre che senza capo…, senza fondo!!

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