Roma, 26 ott – Due giorni fa Mario Draghi ha tenuto il suo ultimo discorso da governatore della Banca centrale europea. “Ho cercato di rispettare il mandato nel modo migliore, orgoglioso di non aver mai gettato la spugna. Rimpianti? Nessuno può cambiare il passato, nessun consiglio a Christine Lagarde: sa già cosa fare”, ha spiegato l’ormai ex numero uno dell’Eurotower, arrivato all’ottavo e ultimo anno del suo mandato.

Draghi e quel “whatever it takes”

Succeduto al francese Jean-Claude Trochet nel 2011, la sua presidenza sarà ricordata soprattutto per il discorso del luglio 2012. Eravamo ancora nel pieno delle turbolenze sui mercati finanziari, con la Grecia prima e l’Italia dopo sotto un attacco capace potenzialmente di far implodere l’unione monetaria.

Uscendo da un perimetro spesso molto compassato, Draghi dichiarò guerra alla speculazione: “La Bce sarà pronta a fare tutto il necessario per preservare l’euro. E credetemi: sarà abbastanza”, disse nel corso di una conferenza. Da quel giorno, salvo brevi fiammate di cortissimo respiro (e forse con la compiacenza della stessa Bce per squisiti motivi “politici”), i mercati tornarono cheti. Dimostrando peraltro una cosa non di poco conto: che è la banca centrale, se vuole farlo, a dettare le regole.

L’intervento è riuscito: il paziente è morto

Fu allora che iniziarono a maturare i tempi per un cambio di paradigma nella politica monetaria continentale. Venne il Quantitative Easing (in estremo ritardo, tuttavia, rispetto a quanto ad esempio già posto in essere negli Usa), venne l’epoca dei tassi rasenti lo zero. Iniezioni di liquidità e un atteggiamento espansivo come non si era mai visto prima. Draghi, di fatti, ha salvato l’euro. Ma a che prezzo?

Nonostante la cura da cavallo, l’eurozona resta il grande malato. Praticamente il buco nero della domanda globale: una crescita che a voler essere generosi possiamo definire moderata, con alcuni Paesi (fra cui l’Italia) praticamente fermi da vent’anni. Merito, se così si può dire, delle politiche di austerità che hanno imposto drastiche misure capaci di bruciare in partenza qualsiasi possibilità di ripresa. Politiche peraltro necessarie, potremmo dire quasi strutturali, all’interno di un’unione monetaria che non trova altra strada per recuperare la competitività – che le singole nazioni perdono a causa dell’aggancio del cambio – se non tramite ampie dosi di svalutazione interna. La quale presenta però prima o dopo il conto, in termini di riduzione della domanda nazionale mentre si va all’inseguimento di quella estera seguendo a rotta di collo il modello tedesco. Il quale, come dimostrano le ultime vicissitudini, è tutto tranne che in salute.

Filippo Burla

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7 Commenti

  1. E già.. L’euro è proprio questo! Una moneta comune che ha fatto soltanto gli interessi di alcuni.. Gli altri che non hanno quei benefici devono necessariamente svalutare la vita della povera gente. Motivo per cui l’Europa non uscirà mai da questa crisi.

  2. Draghi, tenendo i tassi bassi, ha evitato che finissimo come la Grecia o l’Argentina.
    Se siete contro Mario Draghi avete le stesse idee dei falchi come Wiedmann

  3. Draghi va come minimo fatto Presidente della Repubblica. In una repubblica presidenziale. Ma gli italiani non se lo.meritano.

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