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Gli italiani i più tartassati d’Europa. Ecco le prove

by Salvatore Recupero
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Cgia- tasse-Matteo RenziRoma, 13 nov – Ieri è arrivato l’ultimo rapporto della Cgia. Stavolta la Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato di Mestre ha comparato la pressione fiscale registrata l’anno scorso nei principali paesi europei con quella italiana. Il dato che viene fuori è sconfortante: “Ogni italiano paga 946 euro di tasse in più all’anno rispetto alla media Ue”. È bene ora analizzare nel dettaglio i dati forniti dalla Cgia. La maggiore pressione fiscale si registra in Francia 48% del Pil. Seguono il Belgio con il 46,8%, l’Austria con il 44,3%, la Svezia con il 44%, al quinto posto, l’Italia. Quindi, da un primo raffronto, non siamo messi così male. L’anno scorso la pressione fiscale nel nostro Paese si è attestata al 43,4% del Pil. Pertanto, possiamo ritenerci soddisfatti: c’è chi sta peggio di noi. La Cgia, però, ha voluto calcolare anche i maggiori o minori versamenti che ognuno di noi “sconta” rispetto a quanto succede altrove. Ed è qui che casca l’asino.

Ebbene, se la tassazione nel nostro Paese fosse in linea con la media europea, nel 2015 ogni italiano avrebbe risparmiato 946 euro. Effettuando, il confronto con la Germania, invece, si evince come i tedeschi paghino al fisco mediamente 973 euro all’anno meno di noi, gli olandesi (1.513 euro), i portoghesi (1.756 euro), gli spagnoli (2.296 euro), i britannici (2.350 euro) e gli irlandesi (5.133 euro). Per contro, gli svedesi pagano al fisco 162 euro all’anno in più rispetto a noi italiani, gli austriaci (243 euro), i belgi (919 euro) e i francesi (1.243 euro). A questo punto è d’obbligo una riflessione. Come si può facilmente vedere il peso del fisco varia a seconda della spesa pubblica. Tutte le nazioni qui elencate hanno un tasso di evasione minore del nostro. Il discrimine è dato dalla qualità e dalla quantità di servizi resi dalla Pubblica amministrazione. Il dogma del “pagare tutti per pagare meno” si rileva dunque una bufala, a meno che qualcuno dimostri che la fedeltà al fisco degli svedesi sia inferiore a quella italica.

In Italia invece che inseguire chi si sottrae al fisco, sarebbe opportuno ottimizzare la spesa. Come dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA: “È necessario che il Governo sia più incisivo sul versante della spending review. Solo con tagli agli sprechi e alle inefficienze della macchina pubblica si possono trovare le risorse per ridurre il carico fiscale generale. La razionalizzazione della spesa pubblica, inoltre, dovrà proseguire molto in fretta. Entro la fine dell’anno prossimo, infatti, per evitare che dal primo gennaio 2018 scatti la clausola di salvaguardia che comporterà un forte aumento dell’Iva e delle accise sui carburanti, il Governo dovrà reperire ben 19,5 miliardi di euro”. I bonus del governo Renzi si rivelano solo un placebo per una malattia che rischia di diventare cronica. Secondo gli artigiani di Mestre, infatti: “Negli ultimi quindici anni, il risultato fiscale emerso dalla comparazione con la media europea è costantemente peggiorato. Se nel 2000 sui contribuenti italiani gravava una pressione fiscale pari a quella media presente in Ue, nel 2005 il carico fiscale per ciascun italiano era superiore del dato medio europeo di 127 euro. Il gap a nostro svantaggio è addirittura salito a 895 euro nel 2010 e ha raggiunto, come dicevamo più sopra, i 946 euro nel 2015”. Il dato che riguarda le imprese è ancor più negativo. Il peso della tassazione sulle aziende italiane è massimo in Ue. Valutando la percentuale delle tasse pagate dagli imprenditori sul gettito fiscale totale: l’Italia si piazza al primo posto (14%), poi l’Olanda (13,1%) e il Belgio (12,2%).

Solo per dare un’idea dei risultati di questa imposizione fiscale possiamo citare un’analisi del Centro studi Impresa Lavoro. Secondo questo report alla fine di quest’anno la crisi iniziata nel 2008 avrà fatto fallire nel nostro Paese più duecentomila imprese. Inoltre, rispetto a sei anni fa i fallimenti in Italia sono cresciuti del 55,42%, passando dai 9.384 del 2009 ai 14.585 del 2015. Un dato questo che non ha paragoni con le altre grandi economie monitorate dall’OCSE: oltre all’Italia, infatti, solo la Francia (+13,81%) presenta oggi un numero di fallimenti superiore rispetto al 2009 e con proporzioni del fenomeno decisamente più limitate rispetto al nostro paese. Tutti gli altri paesi segnalano, invece, un numero di aziende fallite inferiore a quello di sei anni fa. Le aziende costrette a chiudere per insolvenza economica sono, infatti, in calo in Spagna (-4,45%), Germania (-22,90%) e Olanda (-30,25%). Dall’inizio della crisi del 2008 ad oggi sono fallite nel nostro paese più di 95mila imprese e il 2016 verrà ricordato come l’anno in cui si taglierà il traguardo delle 100mila imprese chiuse dal 2009 ad oggi. Il ritmo dei fallimenti è impressionante: nel nostro paese chiudono per insolvenza cinquantasette imprese ogni giorno lavorativo. In conclusione la pressione fiscale è un’emergenza nazionale. Il premier, però, ci tranquillizza via Twitter: “Con me le tasse si abbassano e non si alzano”.Insomma possiamo stare sereni. E se lo dice Renzi, c’è da credergli.

Salvatore Recupero

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paleolibertario 14 Novembre 2016 - 2:18

Articolo importante.

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