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Ilva, è sempre la stessa storia: fallisce il mercato, paga lo Stato

by Filippo Burla
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Roma, 24 nov – E se Ilva diventasse un nuovo caso Alitalia? Siamo ancora all’inizio della vicenda, ma il fallimento di mercato c’è di fatto già stato. E quello pubblico, che nonostante l’evidenza continua a cercare una soluzione…di mercato, rischia di seguire a ruota.

Ilva: i costi diretti e indiretti

Dal 2012, quando il siderurgico è stato sequestrato, al 2018, anno in cui si è perfezionata la vendita ad ArcelorMittal, Ilva ha perso qualcosa come 3,6 miliardi di euro. “Colpa” del necessario ridimensionamento della produzione per cercare di mitigare i danni ambientali, mentre si predisponevano i necessari correttivi. Arrivati poi con le prescrizioni Aia, costo 2,2 miliardi di euro: la metà a carico della nuova proprietà, l’altra metà attingendo ai fondi recuperati alla famiglia Riva.

Fin qui, poco o nulla di costi diretti a carico della collettività: praticamente solo i circa 3 milioni di emolumenti per i commissari che si sono alternati. C’è però tutto il capitolo dei costi indiretti, fra cui soprattutto quelli per gli ammortizzatori sociali che, dopo la cessione ai franco-indiani, riguardano i 3100 dipendenti rimasti sotto l’amministrazione straordinaria, di cui solo 400 potranno essere fattivamente reimpiegati nell’attività di bonifica che è ancora in corso. La relativa spesa – principalmente per la cassa integrazione – si aggira attorno ai 75 milioni l’anno. Che rischiano però di lievitare a quasi 210 “in caso di un ulteriore ricorso agli ammortizzatori sociali per l’80% degli attuali dipendenti attivi a seguito del ‘dietrofront’ di ArcelorMittal”, spiega uno studio presentato due giorni fa dall’osservatorio statistico dei consulenti del lavoro.

Cassa integrazione straordinaria a rischio?

È infatti plausibile “che qualsiasi soluzione individuata (commissario, gara per individuare un nuovo proprietario, rientro di ArcelorMittal) porterà a un nuovo ricorso alla cigs per un numero consistente di lavoratori nel 2020”, prosegue la ricerca, che accosta i numeri della “sola” Ilva a quelli globali della spesa per questo tipo di prestazioni. I risultati sono tali da mettere potenzialmente a rischio le casse dell’Inps, che nel 2018 (ultimi dati disponibili) ha incassato 1,25 miliardi per il fondo cigs, a fronte di un miliardo erogato. Qualora la querelle Ilva non venisse disinneascata, andrebbe a pesare “fra il 20 e il 25% sulla spesa totale”, si osserva, evidenziando come ciò “comprometterebbe l’equilibrio finanziario del fondo destinato alla copertura dei beneficiari della cassa integrazione straordinaria”.

Questo solo per quanto riguarda Ilva. La quale non rappresenta un’isola nel panorama produttivo nazionale, ma è inserita – a monte e a valle – in un nugolo di relazioni con un’impressionante indotto, nel quale si collocano decine se non centinaia di imprese che danno a loro volta lavoro ad un numero di addetti pari se non superiore a quello dello stabilimento tarantino. I quali potrebbero a loro volta – ammesso che ne abbiano i requisiti, per i meno fortunati neanche questo tipo di sostegno – dover accedere a forme di aiuto pubblico. Facendo così lievitare ulteriormente la spesa per lo Stato.

Filippo Burla

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