“C’è chi decide di demolire la propria casa, di renderla inagibile”, conferma Fogliani. “Sono in crescita le schede di cancellazione degli immobili dal catasto come associazione siamo costernati di dover aiutare i nostri soci a distruggere un patrimonio immobiliare, ma è il risultato di un fisco incivile che tassa anche gli immobili che non producono alcun reddito”.
E se nel Nord – Est gli i proprietari di capannoni scoperchiano i tetti per non pagare, quelli che hanno la “sfortuna” di ereditare una seconda casa, magari in un paesino di campagna, con scarso o nullo valore commerciale, si trovano a dover pagare tasse spropositate rispetto al reaòe valore commerciale del bene. E ricorre all’istituto della rinuncia, che guarda caso colpisce in maniera sempre più preoccupante seconde case, ereditate o magari acquistate con i frutti di qualche decennio di lavoro
La possibilità di rinunciare alla propria proprietà a favore dello Stato è prevista dal codice civile. Di solito viene utilizzato al momento della successione ereditaria quando l’erede decide che il bene, in questo caso al casa, è troppo onerosa e invece di benefici economici produce perdite. Ma è possibile anche per qualunque bene di proprietà la cui gestione è diventata troppo onerosa.
“La rinuncia è sempre un momento difficile – spiega il presidente di Confedilizia – su questo si somma il fatto che anche per rinunciare a favore dello Stato bisogna pagare e non poco”.
Per fare un esempio, la rinuncia per un immobile di scarso valore catastale, poniamo di 250 euro e una base di imponibile di 31.500 euro, le imposte possono pesare dai 3000 ai 3500 euro.
Francesco Benedetti