Roma, 6 set – Con l’approvazione degli ultimi quattro decreti attuativi, il Jobs Act è ormai giunto al termine del suo percorso, diventando compiutamente legge dello Stato.
Fra le ultime novità, quella destinata a far più discutere è senza dubbio la riforma -fra le altre- anche dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori. La formulazione originaria di tale norma (contenuta nella legge 300 del 1970) vieta(va) l’installazione sui luoghi di lavoro di apparecchi destinati ad esercitare forme di controllo a distanza sui lavoratori, concedendo comunque eccezioni alla regola previo accordo con le rappresentanze sindacali. La ratio della scelta del legislatore era evitare che il datore di lavoro potesse in qualche modo “spiare” i propri dipendenti e, discrezionalmente, adottare sanzioni disciplinari sulla base delle riprese video.
Sulla proposta è nato un acceso dibattito e, nonostante il parere contrario della commissione Lavoro che proponeva di limitare l’uso di telecamere e strumenti simili per le sole esigenze di sicurezza e tutela del patrimonio aziendale, il governo non ha effettuato deviazioni di rotta. Così, pur restando il limite dell’accordo sindacale, salta il paletto dell’utilizzo delle informazioni: le riprese potranno essere utilizzate anche ai fini disciplinari.
Il grande fratello non si limita però solo agli audiovisivi. E’ infatti prevista la possibilità di installare dispositivi di controllo a distanza anche sugli strumenti in dotazione al lavoratore, come telefoni cellulari o tablet. Tutto senza alcun accordo preventivo, basterà un’informativa. Il ministro Poletti assicura che sarà sempre rispettata la riservatezza del lavoratore, previsione su cui è più che lecito dubitare.
Da parte sindacale, il timore è che la norma venga abusata. Non è infatti escluso che si possa addivenire addirittura a casi di licenziamento anche sulla base di un semplice filmato che, senza il vaglio di una parte terza, può prestarsi ben volentieri a malinterpretazioni e strumentalizzazioni.
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Filippo Burla
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