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Decontribuzione per assunzioni al Sud: il governo riconosce il fallimento del Jobs Act

by Filippo Burla
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industria lavoro decontribuzioneRoma, 17 nov – Via libera alla decontribuzione totale per chi, nel 2017, farà assunzioni nel Sud d’Italia. La misura, inserita nel decreto fiscale licenziato ieri dalla Camera, costerà 730 milioni di euro per l’intero anno prossimo, attingendo a risorse dei fondi europei. L’esenzione dal pagamento dei contributi, per un massimo di 8060 euro l’anno, varrà – secondo lo schema già sperimentato in passato – per gli assunti a tempo indeterminato o con contratti da apprendisti fra i 15 e i 24 anni, mentre per chi supera la soglia la detassazione sarà valida solo per chi è disoccupato da oltre sei mesi.

“Le aziende che scelgono di investire al Sud hanno per il 2017 la decontribuzione totale come il primo anno del Jobs Act”, ha spiegato il premier Matteo Renzi, intervenendo durante un incontro con gli amministratori locali siciliani. “Gli incentivi del Jobs Act, solo per il Mezzogiorno – ha proseguito Renzi – saranno confermati integralmente. Chi lo fa a Firenze o Verona no, perché lì siamo già tornati a livelli del 2008: chi sceglie di investire a Caltanissetta, sì”. Esultanza forse contagiosa, quella del premier, ma indubbiamente fuori luogo dato che accostare gli incentivi al Jobs Act è un’operazione di bassa, bassissima propaganda. Il collegamento fra i due è infatti palesemente falso: nei decreti attuativi della riforma firmata dal ministro Poletti non compare alcun riferimento alle misure fiscali, le quali sono semmai materia da legge finanziaria. Il governo era sicuro che con la liberalizzazione dei licenziamenti le imprese avessero maggiore convenienza ad assumere. Così non è stato. Con l’esaurirsi della decontribuzione, a partire da gennaio di quest’anno, i numeri hanno infatti parlato chiaro a più riprese: finiti i fondi, finite le assunzioni. E la disoccupazione è tornata più o meno ai livelli precedenti.

D’altronde, credere che una crisi di domanda (non si assume perché non c’è produzione dato che la domanda interna langue) potesse essere affrontata con una riforma dell’offerta (secondo la convinzione che gli imprenditori non firmavano nuovi contratti perché non potevano licenziare) era come preparare un fallimento annunciato. Fallimento che, puntuale, è arrivato in tutta la sua forza, con l’Inps che proprio ieri ha messo nero su bianco l’ennesimo rallentamento delle assunzioni a tempo indeterminato, calate di oltre il 32% nei primi nove mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo dello scorso.

Filippo Burla

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