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Addio al vero “made in Italy”: l’artigianato lo fanno gli stranieri

by La Redazione
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artigianatoRoma, 12 gen – Le imprese italiane chiudono i battenti mentre quelle straniere crescono di numero. Se si dovessero sintetizzare le risultanze dello studio effettuato da Unioncamere e Infocamere, relativamente all’evoluzione del settore dell’artigianato, in Italia, nel triennio 2011-2014, non ci sarebbe titolo più calzante.

Lo studio, basato sui dati del registro delle imprese delle Camere di commercio, ci restituisce una fotografia impietosa, della progressiva erosione del comparto artigianato: nel triennio che va dal settembre 2011 al settembre 2014, in Italia, hanno chiuso bottega 76.000 imprese artigiane italiane, uno stillicidio di circa di 70 imprese italiane in meno al giorno; nello stesso periodo, però, con una dinamica opposta, si è avuto un aumento delle imprese a guida straniera, che hanno incrementato la presenza di 7.400 unità, ovvero l’1,2% in più sul totale delle imprese artigiane, attestando la percentuale di imprese straniere in Italia a circa il 12,8%.

La maggiore incidenza di imprese straniere si concentra nel campo del confezionamento di articoli di abbigliamento, dove, su 29.690 imprese, 9.848 sono guidate da imprenditori non italiani (una presenza che si attesta intorno al 33%); in particolare, nel citato settore, è netta la predominanza di imprenditori cinesi.

Ma quello dell’abbigliamento non è l’unico tradizionale settore del “made in Italy” ad aver registrato l’opposta tendenza, tra imprese italiane e imprese straniere: nella fabbricazione di articoli in pelle, a fronte di una riduzione complessiva dello stock di 269 attività, quelle guidate da non italiani sono crescite di 668 unità; nei lavori di costruzione specializzati, il complesso delle imprese ha ceduto poco meno di 30mila imprese, mentre la componente immigrata è aumentata di quasi 500.

In quest’ultimo settore, ed in quello delle costruzioni in generale, romeni ed albanesi si contendono il primato. Non mancano imprese straniere nei settori specifici del noleggio, agenzie di viaggio, servizi alle imprese e ristorazione (dove la presenza non italiana rappresenta il 15,4% del totale). A livello generale prevale la presenza di imprenditori di nazionalità romena (circa il 20% del totale degli imprenditori stranieri) seguiti dai colleghi albanesi e cinesi (rispettivamente al 15 ed all’8% del totale).

Il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, in merito alle risultanze dello studio, ha dichiarato: “Sebbene i dati mostrino le difficoltà ancora persistenti nel settore artigiano nel suo complesso, la crescita delle imprese di stranieri in Italia è sicuramente un dato positivo tanto dal punto di vista sociale, perché è segno di una maggior integrazione dei cittadini provenienti dal resto del mondo, quanto sotto il profilo economico, visto che l’incremento di questa componente può tradursi in un miglioramento anche delle relazioni commerciali con i Paesi di provenienza degli imprenditori”.

Lo stesso Dardanello ha così proseguito: “Occorre valorizzare questo patrimonio, assicurando a tutti i nuovi imprenditori, a prescindere dalla loro nazionalità, un contesto territoriale favorevole in termini di servizi e di infrastrutture efficienti, garantendo al tempo stesso il rispetto delle regole da parte di tutti in materia di lavoro, anticontraffazione, fiscalità”. In maniera estremamente colpevole, il presidente di Unioncamere ha deciso di porre l’accento sulle imprese straniere, lodandone i risultati in termini di crescita numerica, senza minimamente considerare il dramma di 76.000 famiglie italiane, condannate ad un incerto futuro, dalla disgrazia della perdita del lavoro.
Domenico Trovato

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