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Il nuovo credit crunch: ecco perché le banche italiane prestano sempre meno

by Claudio Freschi
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credit crunch banche

Roma, 6 ott – Con il termine credit crunch si definisce in gergo una stretta creditizia ovvero una restrizione dell’offerta di credito da parte degli intermediari finanziari. Partiamo da un dato di fatto concreto: negli ultimi 8 anni l’ammontare complessivo dei prestiti erogati dal sistema bancario italiano è diminuito di oltre 200 miliardi.

Il ricorso al credito bancario è da sempre un mezzo per il privato di migliorare la qualità della propria vita, acquistando beni e servizi che non potrebbe permettersi di pagare in contanti. Per le imprese è un modo per effettuare nuovi investimenti, espandersi, combattere la concorrenza e cercare di garantirsi un futuro, con effetti benefici sulla crescita economica dell’intera nazione. Capiamo bene come una diminuzione così importante del livello dei prestiti diventi un campanello d’allarme piuttosto preoccupante per il nostro Paese. Proviamo ad analizzare le molteplici cause di questo fenomeno.

Il fallimento del Quantitative Easing

In seguito alla grande crisi del 2009 l’Europa ha attraversato un periodo economicamente molto difficile. In colpevole ritardo la Banca Centrale Europea varava, nel 2015, una serie di misure espansive di politica monetaria chiamate Quantitative Easing. Si è trattato in estrema sintesi, di un programma di acquisto di Titoli di Stato e obbligazioni sul mercato, accompagnato da una riduzione costante dei tassi di interesse. L’obiettivo era fornire maggiore liquidità al sistema e quindi favorire l’erogazione del credito da parte delle banche Europee, aumentando così consumi e investimenti e conseguentemente stimolando la crescita economica.

A pochi mesi dalla fine di questo programma, in attesa del nuovo Qe che partirà il prossimo 1 novembre, possiamo dire che nonostante l’enorme massa di denaro messa in circolazione (parliamo di oltre 2500 miliardi di euro in meno di 4 anni) le cose non sono andate esattamente come sperava il governatore Mario Draghi e per un motivo piuttosto semplice. Non è infatti per nulla automatico che ad un aumento delle riserve bancarie e quindi alla maggiore liquidità disponibile per gli istituti di credito corrisponda necessariamente un pari aumento nelle richieste di prestiti da parte di aziende e privati. In più, come vedremo in seguito, le banche hanno visto diminuire notevolmente i loro margini a causa sia della riduzione dei tassi sia dell’aumento esponenziale delle insolvenze. Per questo motivo troppo spesso ancora oggi le richieste di finanziamento non vengono prese in considerazione in quanto non ritenute solvibili.

Il problema dei crediti deteriorati

Non dimentichiamoci infatti che la Banca Centrale Europea ha da tempo messo al centro della sua attenzione il problema dei Non Performing Loans, ovvero dei crediti deteriorati, ritenendoli la causa principale della scarsa efficienza del sistema bancario nel finanziamento dell’economia reale.

In Italia dopo la crisi che ha portato alla scomparsa per insolvenza di alcune banche, come le tristemente famose Banca Etruria e Banca Marche, o ancora gli scandali riguardanti Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza, la preoccupazione principale delle aziende di credito non è stata certamente quella di aumentare l’erogazione dei prestiti, bensì da un lato quella di ridurre le sofferenze e dall’altro quella di porre estrema attenzione sulle nuove concessioni, alzando le garanzie richieste.

La cessione forzata delle sofferenze, spesso a prezzi inferiori alle percentuali di recupero stimate, ha inoltre pesato in maniera enorme sui bilanci delle banche che trovandosi ad avere importanti squilibri patrimoniali hanno visto diminuire ulteriormente la loro possibilità di erogare credito.

I tassi troppo bassi

Abbiamo visto che parte della strategia della Bce per stimolare la crescita economica risiedeva nella costante riduzione dei tassi di interesse, che avrebbe dovuto invogliare aziende e privati ad indebitarsi maggiormente per effettuare nuovi investimenti o acquistare beni e servizi. In questo modo le banche hanno visto diminuire notevolmente i loro margini. Praticamente un’eterogenesi dei fini: è diventato meno conveniente concedere credito.

Aggiungiamo che le imprese non si sono dimostrate particolarmente sensibili alla discesa dei tassi per motivi congiunturali. Qualsiasi azienda basa le decisioni sui nuovi investimenti sulle prospettive di crescita future piuttosto che sul costo del capitale preso a prestito, ed in un periodo di pesante incertezza come quello che stiamo vivendo ormai da parecchi anni è assolutamente impensabile che vi sia una corsa alla richiesta di nuovi prestiti.

A tutto questo dobbiamo aggiungere che come ulteriore misura di stimolo la Bce ha introdotto tassi negativi sulla liquidità in eccesso, ovvero il denaro che al netto degli impieghi e delle riserve obbligatorie ogni banca deposita presso i conti della banca centrale. In questo modo Draghi ha costretto tutte le banche europee a pagare l’Eurotower per parcheggiare denaro presso essa, con l’intenzione di stimolarle a ridurre gli eccessi di liquidità aumentando l’erogazione di prestiti a favore di imprese e cittadini. Alcune banche, soprattutto nel Nord Europa, hanno semplicemente trasferito questi nuovi costi alla clientela, pratica difficilmente attuabile nel nostro Paese dove le aziende di credito si sono fondamentalmente fatto carico interamente dei costi, erodendo in maniera consistente i profitti, entrando così in una spirale che ha portato ancora una volta a restringere il credito, ipotecando così il tanto agognato volano della ripresa economica.

Credit crunch: il vero problema è la fiducia

Abbiamo visto che a poco sono servite le politiche monetarie, il Qe e i tassi di interesse nulli o negativi. Il problema sembra sia come sempre l’incertezza, sia da parte delle banche che vedono progressivamente limitare i loro margini, che tra imprese e privati che sono sempre più preoccupati per il loro futuro.

La verità è che ormai le scelte a livello economico vengono delegate alle istituzioni europee o sono comunque da queste dirottate, mentre mai come oggi servirebbero politiche coraggiose coadiuvate da una spesa pubblica finalmente produttiva per far ritrovare fiducia ad aziende e privati. Citando John Maynard Keynes: “Dobbiamo inventare una saggezza nuova per una nuova era. E nel frattempo, se vogliamo fare qualcosa di buono, dobbiamo apparire eterodossi, problematici, pericolosi e disobbedienti agli occhi dei nostri progenitori”.

Claudio Freschi

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8 comments

Marco Saba 6 Ottobre 2019 - 9:10

Quello che probabilmente sfugge all’autore è che il denaro BCE non può essere direttamente utilizzato dalle banche per fare prestiti essendo segregato nel circuito telematico interno tra banca e BCE. Se il credito – ovvero la creazione di nuovo denaro contante telematico (depositi a vista, M1) da parte delle banche commerciali viene a mancare, è per una precisa volontà politica da loro seguita e concordata, in qualche modo, a livello di banca centrale nazionale. Il denaro BCE è semplicemente una messa a disposizione teorica del contante materiale che qualche volta è richiesto dalla clientela. Per una disamina della questione dei profitti reali delle banche commerciali, a fronte del fatto che non contabilizzano correttamente la creazione di denaro, vedasi Bossone (2019): https://moneymaven.io/economonitor/financial-markets/commercial-bank-money-and-seigniorage-power-Y9_NLU_d90eG7ioPxTFl6g/

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