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Pensioni: quell’incertezza che mina le basi dell’economia

by Francesco Meneguzzo
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inpsRoma, 21 gen – L’allarme sulla stabilità, anzi sullo squilibrio, del sistema pensionistico non solo in Italia ma in tutta Europa sottende una realtà ancora più grave rispetto al destino pur importantissimo delle singole persone, investendo l’intero corso economico. Il problema è che alcune delle soluzioni proposte rischiano di essere peggiori del male o perfino catastrofiche, come quella di cui si è fatto interprete l’Espresso su spunto della banca Ubs, come illustrato ieri su queste colonne, cioè la sostituzione dei lavoratori europei con masse di immigrati dequalificati e culturalmente agli antipodi (anziché, per esempio, sostenere la natalità nel vecchio continente, per dirne una).

Per illustrare come il clima di incertezza sulla disponibilità e l’entità della pensione dispieghi i suoi nefasti effetti sul più vasto ambito economico, conviene partire – come l’intellettuale ed economista americano Charles Hugh Smith sul sito specializzato ZeroHedge – da un indicatore particolarmente sensibile dello stato dell’economia di un paese, di un’area economica e anche globale, la “velocità del denaro”: semplificando, la frequenza e quantità delle transazioni di denaro tra i soggetti economici – individui e persone giuridiche – in un dato intervallo di tempo. Questo indice è generalmente misurato come rapporto tra il prodotto interno lordo (pil), che rappresenta pur con qualche limite la quantità di attività di rilevanza economica, e la quantità di denaro in circolazione. In quanto a quest’ultima, solitamente viene utilizzata la componente aggregata “M2”, che rappresenta non solo il denaro contante ma anche titoli esigibili in breve tempo. In pratica, a minore velocità del denaro corrisponde maggiore propensione al risparmio e ovviamente minore domanda di beni e servizi.

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Velocità di circolazione del denaro negli Usa, calcolata dalla Federal Reserve a St. Louis: mai così in basso dall’inizio delle rilevazioni, quasi 60 anni fa

È facile immaginare come, dopo una decina d’anni di politiche finanziarie espansive da parte di quasi tutte le maggiori banche centrali, culminate nei “quantitative easing” e nell’azzeramento degli interessi (la cosiddetta “Zirp”- zero interest rate policy”), che hanno ingigantito la massa di denaro in circolazione oltre che gonfiato debiti sovrani e bancari e – sempre artificialmente – le quotazioni azionarie, a fronte del generale regresso del Pil, o della sua stagnazione nel migliore dei casi, la velocità di circolazione del denaro sia notevolmente diminuita. L’ufficio ricerche della Federal Reserve a St. Louis, negli Usa, offre direttamente questo dato per gli Stati Uniti, che testimonia il tracollo della velocità di circolazione del denaro, abbondantemente al di sotto dei minimi storici dal secondo dopoguerra. Lo stesso vale per l’Europa e l’eurozona in particolare dove, a fronte di un Pil ancora nettamente inferiore rispetto ai valori precedenti la grande crisi del 2008-2009, la quantità di denaro in circolazione, sotto varie forme, è aumentata nello stesso periodo di almeno il 10%.

Cosa c’entra con le pensioni? Moltissimo, perché se la volatilità degli indici di borsa è già più che sufficiente a consigliare prudenza, e gli investimenti sia industriali sia commerciali attendono tempi migliori che non arrivano mai, è proprio il terrore di non poter disporre di risorse sufficienti per l’età del ritiro dal lavoro dettata anche dalla compressione delle retribuzioni, la componente probabilmente dominante della propensione al risparmio privato, in sostituzione delle spese discrezionali che per decenni hanno alimentato l’impetuosa crescita economica globale. In altre parole, la confusione che regna nelle prospettive pensionistiche individuali dei lavoratori, il continuo rimando dell’età del ritiro, la reiterata compressione delle pensioni stesse e il dumping salariale indotto proprio dall’immigrazione, sono tutt’altro che misure anticicliche volte a rendere più efficiente la spesa pubblica, risultando al contrario in un impatto negativo a cascata sulle generazioni attive – appartenenti in particolare a quella che finora era chiamata classe media. Per questa, e per la più generale e parimenti importante ragione legata alla superiore efficienza delle comunità omogenee ai fini dello sviluppo economico e sociale, soltanto la sicurezza pensionistica e la promozione della natalità in Europa (e in Italia) – attraverso lo sviluppo anziché la riduzione dei sistemi di protezione sociale e formativi – costituirebbe una visione costruttiva di medio e lungo periodo in grado di garantire l’equilibrio finanziario attraverso una crescita stabile e sostenuta nel mercato più grande del mondo.

Francesco Meneguzzo

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