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Le piccole e medie imprese? Battono la crisi meglio delle grandi

by Filippo Burla
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lavoro piccole e medie imprese

Rapporto Cerved: nonostante i luoghi comuni sulla loro (presunta) inefficienza, le piccole e medie imprese battono la crisi meglio delle grandi.

Roma, 12 nov – Contrariamente a tutta una vulgata che le vorrebbe piccole e non belle ma soltanto piccole, le piccole e medie imprese sembrano in realtà molto più vitali delle loro omologhe di più grandi dimensioni. A spiegarlo è Cerved, società italiana specializzata nell’analisi del credito e dei rischi, nel suo Rapporto PMI 2015.

Tra fine 2014 ed inizio 2015, spiegano da Cerved, il quadro per le piccole e medie imprese è decisamente in miglioramento. A titolo di esempio, i ricavi sono stimati in crescita del 2,6% quest’anno, del 3,8% il prossimo e del 4,2% nel 2017. Non solo: le pmi quest’anno hanno migliorato il proprio profilo di rischio, sono diminuiti i fallimenti e hanno pagato con maggiore puntualità  i propri fornitori.

L’arresto dell’emorragia di piccole e medie imprese dal mercato ha permesso di operare una sorta di “selezione”, che non è però andata a vantaggio delle dimensioni aziendali. Al contrario: le pmi rimangono spina dorsale dell’economia nazionale, hanno sensibilmente consolidato la propria situazione finanziaria e fanno meglio – in alcuni casi molto meglio – delle grandi imprese.

“Considerati nel complesso i dati indicano che il nostro sistema di Pmi sta uscendo dalla crisi, ridimensionato in termini numerici ma rafforzato in termini qualitativi. Nel 2014, le piccole e medie imprese sono finalmente tornate ad aumentare la redditività, che ci aspettiamo in crescita nel prossimo biennio, anche se a livelli ancora distanti da quelli pre-crisi. Questa ripresa potrebbe essere accelerata se si smaltirà rapidamente l’elevato stock di crediti deteriorati accumulati durante la crisi”, ha spiegato Gianandrea De Bernardis, amministratore delegato di Cerved.

L’analisi di Cerved smonta un luogo comune troppo spesso diffuso sulle piccole e medie imprese, che si vorrebbero troppo piccole, sottocapitalizzate, incapaci di competere con la globalizzazione. Un freno all’Italia, in estrema sintesi. Banalità alle quali si accoda anche Renzi quando annuncia la fine del capitalismo di relazione. Che sarà anche morto, ma sconfigge la crisi molto meglio del capitalismo finanziario. Quello di De Benedetti, dell’amico del premier Davide Serra con il suo fondo londinese Algebris. Ma l’economia reale è una cosa seria che abbisogna di capacità, competenze, propensione ad investire soldi propri. E concreto sostegno pubblico in termini di politica industriale. Tutti elementi spariti dai radar ormai da anni, perché non fanno ascolti.

Filippo Burla

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