Roma, 20 feb – La crisi morde e si fa sentire soprattutto nei paesi più deboli del vecchio continente: Irlanda, Portogallo, Spagna, Italian, Romania, Grecia e Cipro. Secondo l’ultimo rapporto di Caritas Europa sull’impatto della crisi, in queste nazioni il 31% della popolazione è a rischio povertà o esclusione sociale.
Se l’esclusione è un fenomeno di natura sociologica solo in parte inquadrabile, è invece più facile definire la condizione di povertà che, statisticamente, indica l’impossibilità per una persona -o una famiglia- di acquistare un determinato paniere di beni considerati essenziali. Le soglie variano a seconda dei contesti, ma in genere in Europa il rischio di finire al di sotto di esse si attesta attorno al 25%. Più elevato, come detto, in quei paesi che hanno più subito gli effetti della crisi economica e le politiche di austerità imposte da Bruxelles.
La classifica è guidata dalla Romania, che registra oltre il 40% della popolazione già al di sotto o vicina alle soglie-limite. L’Italia è invece più in basso, ma in linea alla media generale con “solo” il 28% di cittadini a rischio povertà. Siamo ben oltre la media Ue.
I numeri forniti dalla Caritas non sono molto distanti da quelli elaborati dall’Istat. Secondo i tecnici dell’istituto di statistica almeno dieci milioni di italiani -il16.6% della popolazione- sono in condizione di povertà relativa, mentre il 23.4% delle famiglie vive una qualche forma di disagio economico. I valori sono più bassi rispetto a quelli dell’organismo pastorale perché le percentuali fornite da quest’ultima si
A complicare il quadro sono, in ultimo, le prospettive sul futuro. In Italia infatti, sempre secondo l’Istat, non accenna a diminuire il numero dei cosiddetti “neet”, giovani che non studiano né lavorano e nemmeno cercano un’occupazione. Il 26% di chi ha meno di trent’anni si trova in questa condizione, facendo così segnare il triplo della Germania ed il doppio della Francia. Con un’ulteriore beffa: dal momento che la disoccupazione è misurata sulla base di chi è alla ricerca di un impiego, lo scivolare nella categoria “neet” fa sicuramente migliorare il primo indice, ma descrivendo in realtà una situazione ben peggiore.
Filippo Burla