Milano, 22 dic – Non c’è proprio pace tra i capannoni dell’Expo. Tra cantieri lumaca e infiltrazioni malavitose l’Esposizione Universale rischia di rivelarsi un completo fallimento. Anche il Paladino del Made in Italy è finito nell’occhio del ciclone. Parliamo di Natale Farinetti, detto Oscar. Nato nel 1954 in quel di Alba, figlio del partigiano socialista Paolo, già comandante della XXI Brigata Matteotti. Farinetti è stato il fondatore di Eataly, catena gastronomica tricolore partecipata al 40% dalle Coop rosse. Ha portato il made in Italy nel mondo con una catena di punti vendita che vanno dal Giappone agli Stati Uniti. Dunque, un uomo del fare. Cosa si può rimproverare al nostro migliore ambasciatore? Ha vinto due stand all’Expo senza partecipare a nessuna gara. Vediamo meglio qual è l’oggetto del contendere.
Qualche giorno fa Sinistra Ecologia e Libertà ha presentato un’interrogazione parlamentare in cui si chiede di sapere “quali siano stati i criteri che hanno portato all’assegnazione senza gara dei due padiglioni alla Società Eataly”. Sulle tracce del povero tartufo di Alba si è messo un bel mastino napoletano: il presidente dell’Autorità nazionale anti-corruzione, Raffaele Cantone. Il piemontese, però, davanti a tali infamie risponde piccato: “Se continuano le polemiche di gente che non fa e che ha un sacco di tempo da perdere per criticare chi fa, noi ci ritiriamo senza problemi”. I gufi all’imprenditore renziano non piacciano proprio.
Ciò che sorprende in questa vicenda è che le uniche accuse mosse a questo imprenditore siano materia per penalisti o per giuslavoristi. Il grande Oscar è anche accusato di non tenere in dovuta considerazione i diritti dei lavoratori.
Il vero difetto di questa catena gastronomica, però, è un altro. Tra gli scaffali di Eataly troviamo prodotti della nostra tradizione contadina esposti come se fossero una borsa di Armani. Cibi tradizionalmente poveri con il vestito della festa per sembrare più trendy. Tutto ciò è sicuramente un bene se serve ad aumentare le nostre esportazioni. Ma sulle nostre tavole cosa rimane? Quello che passa il convento! O meglio quello che espone in saldo la grande distribuzione. Ma purtroppo non è la mancanza di risorse a causare tutto ciò. Vediamo perché.
Ogni azienda agricola italiana, piccola e grande che sia, subisce non solo la concorrenza sleale di Paesi con costi di produzione più bassi, ma è anche vittima di una filiera ostile. Troppi passaggi fanno aumentare il prezzo dei prodotti. Ciò, paradossalmente, impone ai contadini di distruggere il raccolto piuttosto che metterlo sul mercato.
Due esempi su tutti. Iniziamo parlando delle arcinote arance siciliane. Dal 2012 un accordo Ue-Marocco ha eliminato il 55% delle tariffe doganali sui prodotti agricoli e di pesca provenienti dal Paese nordafricano. Il risultato è confortante: sulla piana di Catania mancano all’appello almeno sette mila ettari di agrumeti. Un agrumeto costa da 15 a 20 mila euro per ogni ettaro. A questo punto ogni contadino per far diminuire il prezzo ha solo uno strumento: far calare l’offerta. Ma questo non serve a nulla perché le arance arrivano lo stesso dal Marocco.
L’altro esempio viene dal Nord. Pare che i russi siano golosi di mele e susine italiche. Sembra strano, ma le prima vittime dell’embargo verso la Russia sono mele e susine. I contadini hanno contenuto le perdite mandandole al macero. Alla faccia della lotta contro lo spreco. Uno dei temi portanti del prossimo Expo.
Se non fosse la realtà ci sarebbe da ridere leggendo la Home page del sito www.expo2015.org. “Un’Esposizione Universale con caratteristiche assolutamente inedite e innovative. Non solo una rassegna espositiva, ma anche un processo partecipativo che intende coinvolgere attivamente numerosi soggetti attorno a un tema decisivo: Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita. Un evento unico che incarna un nuovo concept di Expo: tematico, sostenibile, tecnologico e incentrato sul visitatore”.
Tornando al protagonista di questa storia. Farinetti ha ottenuto due stand senza nessuna gara. Inoltre paga poco e male i suoi dipendenti. Nonostante ciò, quello che deve preoccuparci è il modello di consumo proposto da Eataly: se sei ricco mangi italiano, se invece sei povero cucina marocchina. Il made in Italy è solo per palati raffinati.
Eppure siamo in piena crisi. Le famiglie fanno i salti mortali. I più sfortunati rovistano nei cassonetti dei mercati generali. Ma la frutta marcisce. Qualche politico si batte per porre fine a questa asimmetria. Ma ha un imperdonabile difetto, è razzista. Come si fa a preferire il cibo italiano a quello straniero?
Salvatore Recupero