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“Neet”: la generazione perduta e dimenticata che affossa la nostra crescita

by Filippo Burla
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neet-lavoroRoma, 1 nov – Li chiamano “Neet”, prendendo a prestito dalla terminologia inglese. Sono quei ragazzi di età compresa fra i 18 e i 29 anni “Not in Education, Employment or Training”, vale a dire coloro che non studiando, non lavorano, né stanno affrontando altri tipi di percorsi formativi. Una generazione perduta, vittima della crisi e della mancanza di un sistema formativo e di ingresso al lavoro valido, stritolato fra la morsa della disoccupazione e di riforme che stentano a decollare quando proprio non decollano affatto. Ma che potrebbe, se ci fosse la volontà di aiutarla con percorsi ad hoc, contribuire alla ripresa economica italiana e non solo.

A spiegarlo è uno studio di PricewaterhouseCoopers, società di consulenza leader nel mondo che ha affrontato la questione nella ricerca, appena pubblicata, dedicata proprio ai Neet. La ricerca, ‘Empowering a new generation’ (‘Stimolare una nuova generazione’), affronta il tema analizzando l’istruzione, l’occupazione e la formazione dei giovani scoraggiati in tutti i paesi Ocse. L’Italia, secondo l’indice Young workers – elaborato dalla stessa Pwc – fa peggio di tutti: siamo 35esimi in classifica, addirittura dietro alla Grecia (34esima) e alla Spagna (33esima), che pure hanno dati, ad esempio sulla disoccupazione e in specie quella giovanile, ben peggiori dei nostri. In cima alla classifica troviamo invece Svizzera, Germania e Austria, dove le politiche di inserimento al lavoro già a partire dal periodo scolastico danno i migliori frutti.

Se per l’Ocse la perdita secca in termini di punti di Pil per l’Italia è pari ad almeno 1,5 punti, per Pwc la riduzione dei Neet a livelli più accettabili – oggi il Neet rate, cioè la quota di giovani Neet sul totale, è al 35% – si tradurrebbe in una crescita, nel tempo, di almeno l’8% del prodotto interno lordo. Complessivamente, l’aumento del Pil globale sarebbe di 1000 miliardi, mentre per il solo G7 i miliardi sarebbero quasi 800.

Filippo Burla

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2 comments

Roberto 1 Novembre 2016 - 4:01

Articolo renziano.
Queste mirabolanti politiche di inserimento al lavoro non sono altro che, a livello scolastico di una tecnicizzazione della scuola a discapito delle materie culturali considerate inutili, a livello post scolastico di corsi di piccola formazione per inserire precari sufficientemente istruiti allo svolgere un lavoro richiesto da una qualche azienda per la quale lavoreranno con un contratto a termine, e non di una formazione vera e propria che faccia ottenere qualifiche più remunerative. Le solite sporche politiche per favorire le grandi industrie in un’ottica mercantilista in stile tedesco.
Ai giovani va ridato il diritto a un futuro e la dignità con politiche che favoriscano la crescita economica e quindi lavoro, cosa impossibile in questa follia chiamata Unione Europea.

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nemesi 1 Novembre 2016 - 4:47

be’…..che non si lavori ci sta purtroppo..per quanto riguarda il formarsi e costruirsi (training) qualche abilità suppletiva,con You Tube si possono imparare delle lingue estere a costo zero, così come altre cose legate al mondo del web,dalla fotografia alla realizzazione di siti etc
quindi se non sfruttano almeno in parte questa opportunità in attesa di qualche posto nella P.A. cazzi loro.

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