Roma, 9 ott – In questi giorni i media occidentali hanno riportato la notizia, a tratti sussurrata, quasi come se la situazione fosse per questo, ai loro occhi, ancor più grave, che il vero regista dell’intervento russo in Siria, non sarebbe come facilmente si potrebbe pensare, un generale del Cremlino o un ufficiale siriano, ma Qasem Soleimani, un generale di brigata iraniano, per i più un nome sconosciuto, ma per le agenzie di intelligence di tutto il mondo, per gli eserciti occupanti che scorrazzano da vari anni in quelle zone ed ora per i terroristi qaedisti di sedicenti califfati, il nemico numero uno.
Secondo la Reuters, nel corso di una riunione a Mosca nel mese di luglio, un generale iraniano sosteneva che la crisi siriana poteva essere capovolta a favore di Assad e dei suoi alleati. “Soleimani ha aperto una mappa e ha descritto minuziosamente ai russi tutta la situazione sul campo in Siria. Il Generale ha chiarito che l’iniziativa è ancora possibile e ci sono ancora carte utili da giocare “, cita la fonte di Reuters.
Il capo dell’unità speciale “Al Quds” (Niru-ye Qods o “brigata Gerusalemme”), élite del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica (Sepah-e Pasdaran-e enghelab-e eslami), illustrava quindi ai russi il difficile teatro di intervento nel travagliato scenario siriano, tesi in qualche modo confermata anche in questi giorni, dai siriani e dai russi stessi, che la pianificazione dell’attuale intervento russo in Siria ha richiesto mesi di tempo ed è stata coordinata con gli altri alleati come l’Iran.
Ovviamente, l’interesse dell’Iran a riequilibrare il conflitto siriano e correre in aiuto della Siria è cosa ampiamente dimostrata, ma molti trascurano che – direttamente o indirettamente – l’Iran è attualmente impegnato nei tre conflitti regionali: in Iraq, contro i terroristi dell’Isis; in Yemen, a sostegno delle forze sciite e nazionaliste contro l’aggressione saudita; in Siria, in sostegno del legittimo governo Assad, contro l’ISIS e i terroristi “moderati” di Al Qaeda. Il ruolo più importante su questi tre tavoli l’Iran lo gioca con il suo uomo più riservato e geniale, Soleimani in persona.
Su di lui gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni “personali”, praticamente quasi tutte le intelligence occidentali o dei loro alleati sono disposte a pagare fino ad un milione di dollari per avere anche solo poche informazioni, e soprattutto l’esatta posizione, del capo della forza Al Quds. Dal canto suo, il generale Soleimani, ha dedicato la sua vita alla protezione dell’Iran e degli ideali della Rivoluzione Islamica, pochissimi dei suoi sanno esattamente dove si trovi in un preciso momento, quasi sicuramente, almeno negli ultimi anni, in qualche posto tra la Siria e l’Iraq. Conta sulla fiducia indiscussa da parte della Guida suprema, Ali Khamenei e la sua voce ha un’importanza determinante nelle scelte della politica estera iraniana.
Ha trasformato l’unità speciale Al Quds, composta sembrerebbe da 5.000 uomini sceltissimi e di indiscussa fede, in un’organizzazione elastica, a metà strada tra intelligence e guerriglia, pronta ad affrontare le sfide più dure degli sconvolgimenti geopolitici. Proprio sulla visione di Soleimani e sotto la sua guida di questa importante unità, prende forma all’inizio degli anni 2000, l’“asse della resistenza”. La proiezione di difesa dell’Iran (e non solo), in scenari anche lontani dai confini nazionali (Libano, Asia centrale, Africa) alle politiche egemoniche di Washington, Riyadh e Tel Aviv nel Medio Oriente. Ogni Rivoluzione acquisisce un vero valore solo quando la si può difendere. E così l’Iran, isolato e sanzionato, ha negli anni organizzato una difesa della sua rivoluzione su approcci lontani, non solo strettamente ai suoi confini: “Nessuno a Teheran, inizialmente ha pensato di creare un asse di resistenza, sono gli eventi che lo hanno favorito” – scriveva tempo fa un diplomatico occidentale – “E in ogni caso, Soleimani è stato il più intelligente, il più veloce e di maggiori risorse di chiunque altro nella regione. Lui non ha perso una sola opportunità nella costruzione della resistenza al blocco Usa-Israele-Arabia Saudita, ed ha raggiunto il suo obiettivo lentamente ma inesorabilmente “. Gli stessi strateghi americani hanno dovuto ammettere che agendo nell’ombra e intessendo un fitta rete di contatti, il generale Soleimani ha bloccato più di un loro piano, tanto da soprannominarlo, senza nascondere un filo di ammirazione e di rispetto per lui, “il guardiano del Medio Oriente”, il “Cavaliere oscuro”.
“Eravamo giovani e volevamo servire la Rivoluzione”. Qasem Soleimani nasce a Rabord nella provincia di Kerman, vicino alle montagne con l’Afghanistan, da una famiglia di contadini. Nel 1970, l’Iran dello Shah dava poche possibilità alle classi meno abbienti di salire la scala sociale, la sua famiglia indebitata dovette così lasciare i pochi terreni per trasferirsi a Kerman. A soli tredici anni, Qasem, iniziò a lavorare in un cantiere per aiutare economicamente la famiglia, “Non potevamo dormire la notte, dovevamo preoccuparci dei nostri padri”, scrive il generale nelle sue memorie e continua dicendo: “L’infanzia è necessaria per giocare, non per lavorare come manovali lontani da casa”. Estinto il debito di famiglia, il giovane Qasem svolge altri numerosi lavori, ormai stabilitosi definitivamente a Kerman. Legge molto e cura il suo fisico anche se, come egli stesso ha più di una volta ammesso, il suo sogno giovanile di ricevere una formazione universitaria rimase insoddisfatto.
La sua infanzia, le difficoltà economiche, il senso di giustizia sociale lo portarono giovanissimo e fin dai primi giorni ad appoggiare la Rivoluzione Islamica del 1979. Nel 1980, a 23 anni, è tra i combattenti della neonata formazione dei Guardiani della Rivoluzione (Pasdaran) e partecipa alla repressione del movimento separatista curdo in Iran. Proprio mentre si prepara a svolgere il primo anno di università, l’Iraq di Saddam Hussein attacca l’Iran, indebolito e sconvolto dalla rivoluzione khomeinista. Qasem parte subito per il fronte, svolgendo vari ruoli anche logistici: “Sono andato in guerra per quindici giorni ma ci sono rimasto fino alla fine”.
A causa delle alte perdite di ufficiali iraniani, soprattutto nella fase iniziale del conflitto, nel 1984 è già comandante di brigata dei Pasdaran, partecipando a gruppi di sabotaggio ed intelligence dietro le linee nemiche. Qasem aveva perso la possibilità di una sicuramente brillante carriera universitaria ma era diventato un grande comandante militare. Audace, coraggioso, freddo e calcolatore tanto da meritarsi l’ammirazione anche degli ufficiali iracheni suoi nemici. La sua carriera militare, iniziata per altro prestissimo, è piena di aneddoti e situazioni, anche sui fronti interni come la lotta al narcotraffico, al contrabbando e al separatismo, ma è sicuramente da comandante della forza “Al Quds” che Qasem Soleimani ha dimostrato il suo valore e la sua dedizione alla causa rivoluzionaria.
Nel 2000 riorganizzò radicalmente “Al-Quds”, che la rende oggi un’organizzazione unica nel suo genere, con forze di intelligence e speciali, una rete globale di agenti, arruolati attingendo principalmente alle comunità sciite in tutto il mondo. Qasem Soleimani in poco tempo è diventata l’ostacolo , la pietra d’inciampo dell’egemonia americana in Medio Oriente. Nel 2003 con i soldati americani entrati a Baghdad, il generale aveva già a disposizione una fitta rete di agenti in Iraq, tanto da scavalcare con il tempo, facendo “buon viso a cattivo gioco”, l’influenza americana sui governi iracheni, espandendo di fatto quella iraniana e provocando non solo la rabbia di Washington ma anche quella di Ryadh. Nel 2011, promosso generale di brigata, Qasem Soleimani iniziò subito una nuova guerra, il suo jihad personale. In poco tempo organizzò la resistenza sul campo, portando personalmente a Damasco e Baghdad i migliori combattenti per affrontare le milizie qaediste e dell’ISIS, aiutando i rispettivi governi a non crollare, sul piano militare, sotto l’avanzata terroristica delle cosiddette “primavere arabe” ed impedendo a quest’ultimi la presa, in alcuni momenti vicinissima, delle capitali siriane ed irachena.
Questo grande successo militare è stato raggiunto grazie alle tattiche utilizzate dal generale e dai suoi comandanti, sulla base dell’esperienza delle truppe sovietiche in Afghanistan, incursioni di piccoli gruppi di soldati addestrati il cui compito era ed è la liquidazione fisica dei comandanti qaedisti appoggiati dalle milizie popolari e territoriali. Una guerra lampo e asimmetrica allo stesso tempo.
In quei rari giorni in cui il generale Qasem Soleimani ritorna a Teheran, si misura con la vita di un ufficiale di mezza età. “Ogni giorno si alza alle quattro del mattino e va a letto alle nove e mezza di sera,” – dice uno dei suoi amici. – “E’ ‘rispettoso di sua moglie, e qualche volta cammina con lei nel parco, ha tre figli e due figlie. E’ un padre affettuoso ma severo”. Ma felicità domestica non sempre dura a lungo. E così ogni volta che le nubi si addensano sopra l’Iran, il generale riparte dalla sua casa.
“Di solito nella rappresentazione popolare il paradiso è descritto come un emozionante paesaggio colorato, ruscelli gorgoglianti, belle donne. Ma c’è un altro tipo di paradiso: il campo di battaglia“- ha detto in un’intervista, così concludendo: “Il campo di battaglia per la propria Patria.”
Giovanni Feola