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Gianluca Pagliuca, il numero uno dello scudetto blucerchiato

by Marco Battistini
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Roma, 19 mag – Maggio, mese dello scudetto. Quando è stata l’ultima “prima volta” per una squadra del campionato italiano? Anche se sprovvisti di DeLorean (e relativo flusso canalizzatore) dobbiamo tornare indietro nel tempo. Esattamente trentatré anni fa, con il 3-0 casalingo maturato sul Lecce, la Sampdoria si laureava campione d’Italia. Simbolo della squadra allenata da Vujadin Boskov la coppia d’attacco formata da Vialli e Mancini. Ricordiamo poi tra i protagonisti il roccioso Vierchowod, Mannini – prototipo del terzino moderno – e l’instancabile esterno Lombardo. Possiamo dimenticare il numero uno? Ovviamente no. Anche perché i guantoni di Gianluca Pagliuca contribuirono – e non poco – allo scudetto blucerchiato.

Sampdoria, Inter e Bologna

Ma andiamo con ordine. Il nostro viene scoperto appena adolescente dall’ex portiere Battara. Dopo la trafila giovanile nel “suo” Bologna, ancora minorenne, passa in prestito alla Sampdoria (1986). Con i liguri si mette in mostra al Torneo di Viareggio, dove convince il patron Mantovani a investire sul suo cartellino. All’estremo difensore emiliano basta una stagione scarsa per conquistare il grado da titolare. E pochissimi anni per entrare nel giro della nazionale: al mondiale italiano dietro a Zenga e Tacconi veste i panni del ventiduesimo. In azzurro esordirà nel 1991.

Colonna della miglior Sampdoria di sempre, Pagliuca, oltre allo scudetto, in blucerchiato vincerà tre coppe Italia, una Supercoppa e la Coppa delle Coppe. Nella seconda metà degli anni ‘90 difende la porta dell’Inter – è protagonista dell’ultima Coppa Uefa nerazzurra. Ad inizio millennio torna a Bologna. Sette stagioni – con annesso primato rossoblu per presenze consecutive – chiuse dall’ultima annata (2006/07) in quel di Ascoli.

Pagliuca, il portiere dello scudetto blucerchiato

Nella sua ventennale carriera il portiere felsineo è stato titolare in due spedizioni mondiali. Nel 1994 sfiorando il titolo nella finalissima persa ai rigori contro il Brasile. Quattro estati più tardi – sempre nel contesto della lotteria degli undici metri – cedendo il passo alla Francia. Erano i quarti di finale e il 39 volte azzurro concluse amaramente un torneo giocato alla grande. E con esso la sua esperienza in nazionale.

Fisicamente esplosivo, dotato di un’importante personalità. Talvolta plateale nelle parate – di quelle che fanno felici i fotografi per intenderci – abbinava doti acrobatiche a una buona tecnica podalica di base. Il che, va detto, all’epoca era un qualcosa d’insolito. Per lo meno nella scuola italiana. Lezioni di stile, anche in fatto di sgargianti divise: “non indossavo maglie  brutte, per scelta”. Marchio di fabbrica il volo con la mano di richiamo. La specialità della casa? Parare i rigori (nonostante le maledette esperienze iridate).

La parata più importante

Tanto istinto e poco studio. Primatista fino al 2020 nella speciale classifica delle massime punizioni neutralizzate – 24 su 91 affrontate – Pagliuca con uno di questi interventi scriverà il racconto dello scudetto blucerchiato. Nella primavera del 1991 la Sampdoria si gioca, con tre di punti di vantaggio sulla seconda, una bella fetta di tricolore a San Siro. Avversaria proprio l’Inter, ovvero la diretta inseguitrice. Mancano quattro turni alla fine del campionato e intorno al 60’ di gioco Dossena porta avanti gli ospiti.

Poche battute e il centrocampista nerazzurro Berti si guadagna un calcio di rigore: sul dischetto per il possibile pareggio che riaprirebbe ogni discorso si presenta Matthaus. Ma ipnotizzando il tedesco, Pagliuca – che già si era sporcato i guantoni in diverse occasioni – mette la sua indelebile firma sullo scudetto blucerchiato (Vialli poi siglerà poi il definitivo raddoppio). La “parata più decisiva della mia carriera” dirà qualche anno dopo alla Gazzetta dello Sport. Sicuramente quella più importante di tutta la storia doriana.

Marco Battistini

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