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Il mondialista Saviano e il diritto del mare a uso e consumo del capitalismo

by La Redazione
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diego fusaro filosofo

Roma, 7 giu – A Roberto Saviano piace pontificare. Lo fa, usualmente, dal suo sontuoso attico di Nuova York: dal quale gode, non v’è dubbio, di una patrizia vista superiore che a noi plebei della mondializzazione manca. Dal suo attico, Saviano diffonde urbi et orbi, novello pontefice del mondialismo turbocapitalistico, il verbo cosmopolita glorificante i rapporti di forza così come sono. Egli viene celebrato e diffuso a tambur battente, e presentato con un’aura di autorevolezza superiore anche a quella del pontefice di Roma. Saviano dice sempre la cosa giusta al momento giusto: sembra sincronizzato per fornire ad hoc le superstrutture funzionali alla struttura dominante. Egli è l’emblema della Sinistra libertaria del Costume, che santifica superstrutturalmente le strutture classiste della Destra libertaria della Finanza.
Insomma, l’intellettuale giusto al momento giusto per la classe giusta. Ora fa l’elogio di Israele, modello insuperato della democrazia missilistica. Ora stigmatizza i populismi, senza, ovviamente, dire nulla sull’unico vero pericolo oggi esistente, che si chiama capitalismo finanziario. Pochi giorni addietro ci ha pure ortopedizzati moralmente sul diritto del mare. Così ha ieraticamente asserito il sacro pontefice del capitalismo no border: «Il diritto del mare ha una regola sacra: non si lasciano annegare le persone». Giusto. Sacrosanto. Incontrovertibile. Una banalità, certo. Ma una banalità vera. Mi permetto, tuttavia, di integrare, dicendo ciò che Saviano non può dire: il diritto del mare ha un’ulteriore regola sacra: non si deportano le persone per avere nuovi schiavi e per abbassare i salari in Europa della classe lavoratrice.
Non si destabilizzano a colpi di bombardamenti etici e di imperialismo umanitario, come accadde in Libia, i governi per favorire l’immigrazione di massa. E avere, in tal guisa, masse deportate di nuovi schiavi in occidente da sfruttare a basso costo e senza diritti e coi quali esercitare concorrenza al ribasso ai danni della classe lavoratrice autoctona, ancora tutelata da diritti sindacali conquistati con le lotte di classe. La chiamano immigrazione di massa. È deportazione di massa. Chiedetevi perché gli esseri umani che fanno naufragio presso le coste libiche vengano deportati in Sicilia, contro il diritto del mare invocato da Saviano (diritto che prevede che si venga portati nel porto sicuro più vicino). Chiedetevelo. E avrete la risposta per comprendere il problema. Il nemico non è chi fugge, ma chi costringe i popoli a fuggire. Non è chi ha fame, ma chi affama. E, naturalmente, nemico è anche chi legittima intellettualmente l’operato di siffatti criminali.
Diego Fusaro

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Francesco Retolatto 7 Giugno 2018 - 10:47

Ma la camorra non fa mai ‘na cosa bona ?Non aveva detto più di dieci anni fa di volere Saviano morto?
Come si vede la differenza tra uno che faceva il suo lavoro ( Falcone, Borsellino, Siani ) e uno che si fa i soldi facendo la vittima e rubando il lavoro degli altri.
Saviano sei un pacco. Sei una frode.

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Giorgio Nocchi 8 Giugno 2018 - 11:47

Un semplice intervento settoriale. Se si vuole stare con i piedi per terra, occorre partire dal quello che prescrive la legge. Sia il Codice dalla Navigazione Italiano (art.69), sia la Convenzione di Montego Bay del 10.12.82, prescrivono l’obbligatorietà del salvataggio se si viene “informati” di persone in difficoltà in mare. Obbligatorio è il “salvataggio a chiamata”. Ma con l’operazione Mare nostrum fu inaugurato il “salvataggio a ricerca”, ovvero non si aspettò più, come per il passato di essere chiamati (i trafficanti avevano telefoni satellitari), ma l’Italia di Letta, Renzi e Gentiloni sguinzagliò per tutto il Mediterraneo navi, elicotteri, aerei, perfino droni alla ricerca di chi era partito per arrivare in Italia, e questo senza neppure il consenso del Parlamento. Per fare una cosa del genere, con l’onere finanziario che essa comporta, non era sufficiente la maggioranza, quando ci sono 5/ml di italiani in stato di povertà; occorreva un plebiscito. Di qui una massa lavoro a basso costo soggetta a facile sfruttamento.

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