Roma, 9 mag – Il riflesso delle elezioni francesi si sta facendo sentire anche in Italia. Se il carro di Macron si è presto affollato di improvvisati e non richiesti “vincitori” di questo lato delle Alpi, anche il risultato di Marine Le Pen sta facendo discutere in quei settori della destra italiana che si definiscono, a torto o a ragione, “sovranisti”. Merita in particolar modo di essere letta l’analisi di Fabio Rampelli pubblicata sul Secolo d’Italia. Capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Rampelli viene dai ranghi del Fronte della Gioventù e dalla militanza nella storia sezione missina di Colle Oppio. Non esattamente un peones della politica, insomma. Alla luce di questo percorso, risulta tanto più significativa la sua critica sviluppata nei confronti di Marine Le Pen. Critica che, lo diciamo subito, si basa sul rimprovero alla compagine francese di non aver svolto abbastanza in fretta l’opera di normalizzazione, rinnegamento, democristianizzazione e svendita di ogni retaggio ideale e identitario. Rampelli, che si dice convinto che “la destra francese ha molto da imparare dalla destra italiana”, propone ai colleghi francesi questo modello politico e ideologico (il lungo passaggio va riportato per intero):
“C’è infatti modo e modo di essere di destra: si può auspicare per decenni il ritorno del fascismo oppure dire, già dai tempi del Msi, ‘non rinnegare non restaurare’ aderendo al modello democratico; ci si può schierare contro l’‘Amerika’ per rivalsa verso i vincitori della seconda guerra mondiale ovvero criticare l’american way of life senza discutere l’appartenenza atlantica, ma chiedendo pari dignità nelle alleanze; si può lasciare che si diffonda un sentimento antisemita fino ad avere sindaci che negano l’Olocausto – come accaduto alla Le Pen in questi giorni – oppure considerare netta l’appartenenza di Israele all’Occidente, giudicare la persecuzione degli ebrei orrore e vergogna perenni, pur chiedendo la trasformazione della Palestina in Stato; si possono detestare gli immigrati oppure contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina, il traffico di uomini che arricchisce malavitosi e cooperative, nel rispetto della povertà, della disperazione, della persona umana; si può chiedere la fuoriuscita dall’Ue per affermare una Grandeur sciovinista o puntare a rinegoziare i Trattati per fare un’Europa nazione di popoli, patrie e culture, soggetto capace di tenere al guinzaglio la globalizzazione e non suo strumento per riempire il portafoglio della grande finanza”.
Al di là di tutti gli inverosimili “ma anche” di veltroniana memoria, la cui tenuta logica è tutta da verificare (si può “criticare l’american way” ma anche ritenere indiscutibile quella “appartenenza atlantica” che, dopo la caduta del comunismo, viene discussa un po’ da tutti, ma par di capire che in Fdi resti invece un tabù), colpisce l’ulteriore passaggio della conversione al pensiero unico: chi credeva che l’accettazione piena ed esplicita dei valori antifascisti fosse la tappa finale dovrà ricredersi, perché si può sempre diventare vigilantes di quegli stessi valori e andare a fare le pulci agli altri con il tipico zelo del convertito dell’ultima ora. In fin dei conti lo spauracchio di qualche “sindaco che nega l’Olocausto” si trova sempre, solo che in genere era Repubblica a scovarli con toni indignati. Se il Front national avesse tempo da perdere potrebbe del resto replicare che Jean-Marie Le Pen (che a 16 anni tentò di diventare partigiano, cosa che certo farà invidia ai dirigenti di Fdi) faceva aperture al mondo omosessuale quando in Italia la cultura missina era più o meno questa. E che comunque è sempre stato il partito della Meloni a presentarsi come la succursale italiana del lepenismo. Quanto a Israele, gioverà ricordare che non è Marine Le Pen ad averlo rifiutato, ma è stato Israele a rifiutare lei (che qualche esponente della destra italiana possa metterci una buona parola?).
Ma, a parte il surreale esame alla correttezza politica del Front national, è tutta l’analisi politica a risultare sbilenca. Porre la destra italiana come possibile modello per la destra francese è cosa che non sta in piedi. Innanzitutto in termini quantitativi: Marine ha preso 10,6 milioni di voti, Alleanza Nazionale ne ha presi al massimo 5,8, in un’unica occasione. Riesce francamente difficile immaginare che dopo aver comunque raggiunto il suo picco storico di consensi, il Front national venga ad abbeverarsi a questa fonte. Ma è soprattutto in termini politici che il discorso non regge, perché non è chiaro quale radioso bilancio politico la ventennale esperienza di governo della destra possa sventolare come esempio da seguire per chicchessia. Rampelli, inoltre, sembra imputare alla Le Pen la colpa di una mancata fusione tra “popolarismo sociale” e “populismo responsabile”, quando sono stati proprio i membri della destra istituzionale ad aver alzato contro la Le Pen il muro del fronte repubblicano, che assomiglia tanto a quell’arco costituzionale che un tempo veniva alzato anche contro l’Msi. Giustifichiamo anche le unioni sacre tra destra e sinistra in nome dell’antifascismo, ora? Così come sembra sfuggire che, da Berlusconi a Brunetta, molti degli alleati di Rampelli si sono schierati apertamente per Macron, vedendo in quell’esponente dell’ultraliberismo tecnocratico “uno dei loro”, il realizzatore dei loro programmi. Siamo quindi al cortocircuito totale: Rampelli dice che, per battere Macron, la Le Pen avrebbe dovuto prendere spunto dall’Italia, dove la destra si è alleata con gente che ha Macron come idolo. Deplorando “la mancata contaminazione tra populismo e popolarismo, di cui si è avvantaggiato l’esile e vuoto banchiere di Amiens”, Rampelli propone un modello dove quella contaminazione c’è stata e ha portato al governo i Macron italiani. Un suggerimento che si commenta da solo.
Giorgio Nigra
6 comments
Rampell ci spiegava che se Marine fosse diventata Fillon avrebbe vinto. No, avrebbe vinto Fillon perché la funzione di Marine sarebbe cessata e i kingmakers avrebbero prodotto tutt’altro scenario per far vincere Macron , se ci tenevano,o per sostituirlo con qualcun altro. Invece di dare lezioni forse è il caso di prenderle dal proprio passato che si è mostrato politicamente fallimentare.
Certo: se ragioniamo in termini d’impiego e carriera nella politica è un altro conto, se parliamo di identità politica e di azione politica però il problema è ben altro, ed è che Marine è a corto di strategia ma non è certo il suo ritardo nel camaleontismo. Anzi, il suo camaleontismo accelerato rischia di fornire la stampella finale a Macron e dar consistenza e futuro a Mélenchon.
Rampelli le parla d’amico? Dagli amici le guardi Iddio che dai nemici… (sperando che poi sia così)
Fa sempre piacere vedere che le proprie analisi sono condivise anche da altri.E che non sono il solo a pensarla così.Dissentendo fortemente dal centro-destra.saluti.
Su una cosa possiamo concordare:Marine non ha vinto perché non ha convinto gli elettori della destra gollista, che pure condividono alcuni punti del programma del Front. Se fosse stata realizzata quest’alleanza sarebbe stato comunque il front a trainare con le sue idee ed i suoi valori uno schieramento che poteva essere vincente. Al contrario di quanto avviene in Italia, dove si persegue una alleanza che sarebbe lontana dai nostri programmi e ci relegherebbe al solito ruolo di inoffensivi portatori d acqua al mulino di Arcore.
volevo fare i complimenti a rampelli per il suo stipendio e la sua carriera politica.
anzi se mi insegna come fare a me lo ringrazio.
insegni a me che marine non ha bisogno dei consigli di rappelli (ammesso e non concesso che sappia chi è).
francese ha molto da imparare dalla destra italiana? Dai risultati si direbbe esattamente il contrario
Neanch’io ho parole dinanzi a questa mucillagine umana nutrita a pane e “cadrega” ( sedia, per i non settentrionali). NON si deve MAI essere alleati di costoro. Arrivo a dire, meglio i grillini, almeno non sono dei rinnegati.