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Aiutiamoli a casa loro: riportiamo gli europei in Africa

by Adriano Scianca
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Roma, 10 lug – Alla fine, Renzi ha sdoganato il concetto di aiutare gli immigrati “a casa loro”. Il tutto avviene grossolanamente, senza criterio, in base ai calcoli elettorali di una sinistra che cerca disperatamente di non mostrarsi per l’ennesima volta anti-popolare. Non ne uscirà nella di buono, quindi. Dovrebbero inoltre spiegarci perché, improvvisamente, c’è questa urgenza di evitare ulteriori sbarchi, dopo anni in cui ci hanno raccontato che gli immigrati erano la cosa più bella che potesse capitarci: fondamentali per le pensioni, per l’economia, più bravi a scuola, più belli, più colti, più onesti, etc. Insomma, sembrava proprio che la soluzione migliore fosse aiutarli in casa nostra, farne venire il più possibile. E ora, alla chetichella, senza giustificare il salto logico, ci dicono che gli immigrati sono divenuti un problema. E sia. Vediamo allora che senso abbia parlare di “aiutarli a casa loro”.

Il principio, ovviamente, sarebbe sacrosanto: creare sviluppo lì affinché non vengano a cercarlo qui. Un principio ancora più sano sarebbe quello di non aiutarli per niente e cominciare a considerare l’Africa come una terra che sa badare a se stessa e gli africani come persone che non hanno bisogno di tutela. Sarebbe la sola e unica considerazione autenticamente “antirazzista”, checché se ne pensi. Sfortunatamente, la storia ci dice che l’Africa lasciata a se stessa esplode. O, meglio, diventa terreno di caccia per ong ideologizzate e multinazionali rapaci, in combutta con governi corrotti e incapaci. E allora, per quanto sembri anacronistico, va detto chiaro e tondo: serve una nuova presenza europea forte in Africa. Non, ovviamente, un colonialismo vecchio stampo, ma di sicuro serve (temporaneamente?) un elemento di ordine che, al momento, sembra impossibile veder sorgere da forze autoctone. Il caso libico è, a tale riguardo, eloquente. Una nazione sovrana e che fungeva da argine al terrorismo e all’invasione immigratoria è stata scientemente destabilizzata da quegli stessi Paesi che oggi piangono per il caos libico. È evidente che oggi l’Europa – o l’Italia, se l’Europa si ostina a non esistere – dovrebbe scegliere un suo interlocutore locale affidabile (Haftar?) e aiutarlo materialmente e militarmente a riconquistare tutta la Libia. I porti da cui partono i barconi dovrebbero essere messi sotto tutela europea e controllati da un contingente militare. E poi andrebbe ricostruito uno Stato, che faccia gli interessi libici e quelli nostri, che peraltro sono convergenti. Se si sono trovate le giustificazioni legali e morali per portare il caos in Libia, se ne potranno trovare anche per portarci l’ordine.

Se stiamo ancora in Iraq e Afghanistan dopo averli invasi con prove false, con la scusa dello State-building, ovvero della ricostruzione di un apparato statale funzionante, perché non possiamo fare lo stesso in quei Paesi africani in cui lo Stato, di fatto, non esiste? Perché il “regime change” è un sano esercizio di idealismo democratico contro le nazioni sovrane mentre invece è inapplicabile nei confronti di quei regimi disastrati il cui fallimento si riflette sul destino dei nostri popoli? Per non parlare delle doverose e necessarie campagne per frenare la debordante natalità africana, con buona pace della Chiesa: le élite al potere sono riuscite con tanta efficacia a portare alle soglie dell’estinzione i popoli bianchi, basterebbe che mettessero un decimo dell’impegno anche nei confronti degli africani e tale pressione demografica si attenuerebbe all’istante. Solo facendo tutto questo potremmo dire di “aiutarli a casa loro” in modo reale, non certo pagando i rubinetti d’oro a qualche satrapo locale. Ovviamente l’intensità e la durata di tale intervento varierebbe a seconda delle circostanze locali: laddove esistano forze autoctone in grado di riportare l’ordine autonomamente, si potrebbe pensare a una mera azione di supporto esterno. Anni di retorica immigrazionista hanno peraltro reso inservibile l’unica obiezione che a tale operazione si potrebbe muovere, ovvero che quella è “la loro terra”. Ma sappiamo bene, ce l’hanno spiegato fior di intellettuali, che la terra non è di nessuno, che siamo tutti di passaggio, che il radicamento non esiste. E poi, ehi: non veniamo forse tutti dall’Africa? In fondo sarebbe solo un ritorno dell’homo sapiens a casa sua.

Adriano Scianca

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1 commento

ANTERO 11 Luglio 2017 - 10:13

Condivisibile pensiero considerando poi che le alternative non sono molte …

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