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Alitalia dimezza le perdite, ma il futuro sarà l’ennesima (s)vendita all’estero?

by Filippo Burla
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Roma, 31 gen – Meno 154 milioni. E’ questo il margine operativo lordo di Alitalia al 31 dicembre 2018. Un risultato ancora negativo, ma che se confrontato con quello di 12 mesi fa offre la cifra del lungo lavoro dei commissari alla guida del nostro vettore aereo. A chiusura dell’esercizio 2017 il rosso era di 312 milioni: nel corso dell’ultimo anno è stato, di fatto, dimezzato. Ma questo potrebbe non bastare a salvare le sorti della fu compagnia di bandiera.

Certo, il margine operativo lordo non tiene conto di fattori come gli ammortamenti e le imposte. Ragion per cui è lecito attendersi una perdita di esercizio decisamente più sostanziosa. Il fatto però che sia stato concretamente “aggredito” potrebbe deporre a favore di una possibilità di salvezza. Che parla però in lingua straniera.

Tutti gli scenari portano infatti all’estero. Vuoi Delta Airlines, vuoi Lufthansa. Al momento, in prima linea sarebbero gli americani, in tandem con Air France per aggirare il vincolo che impedisce a compagnie non europee di detenere più del 49% di un vettore comunitario. E questa sarebbe l’ipotesi, stando alle indiscrezioni, più gradita al M5S. Di diverso avviso la Lega, che sposerebbe invece la linea della cessione ai tedeschi.

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In entrambi i casi, il pubblico non uscirebbe dal novero degli azionisti. Fra essi rimarrebbe Ferrovie dello Stato, con una quota pari al 25%. Più un altro 15% derivante dalla conversione di una parte del prestito-ponte (che dura da maggio 2017) in capo al ministero dell’Economia. Proprio qui si gioca un altro tempo della partita. I 900 milioni sono da poco stati rinnovati fino a giugno 2019, con Alitalia che ha oggi in cassa oltre 700 milioni di liquidità, ma dall’altro lato la cosiddetta “bad company” pre-commissariamento ha in pancia più di 3 miliardi di debiti. Chi dovrà risponderne?

I potenziali promessi sposi nicchiano al riguardo, così come non sembrano voler partecipare ad un serio piano di risanamento operativo. Risanamento che dovrebbe necessariamente passare da concreti investimenti – oggi ogni anno Alitalia ne opera di nuovi per circa 200 milioni – sulla flotta a lungo raggio per intercettare i flussi ancora non preda delle compagnie low cost. Difficile però ipotizzare che possa essere un concorrente diretto (vuoi Delta – Air France, vuoi Lufthansa) a farlo, dato che ciò significherebbe perderebbe quote del proprio florido mercato. Non è un caso che le varie bozze circolare in merito ai futuri piani di ristrutturazione parlino quasi tutte di riduzione della flotta e del perimetro aziendale, con conseguenti migliaia di esuberi. Più che risanamento, un vero e proprio depotenziamento. Con lo Stato a fare, nella migliore delle ipotesi, da spettatore (di minoranza) in attesa della futura, ennesima crisi aziendale.

Filippo Burla

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