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Alitalia: si fa presto a dire piano industriale

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Chiunque abbia seguito qualche lezione in una facoltà di economia sa che la programmazione è materia assai complessa. E però lascia anche ampi spazi all’immaginazione e al business planning creativo. A seguire la vicenda dell’ormai “fu” Cai, sembra che le cose siano andate proprio così. Non bastano le dichiarazioni degli ultimi anni a nascondere gli 1.25 miliardi di perdite cumulate, che offrono una fotografia se possibile ancora peggiore della tanto vituperata gestione statale. Senza contare poi gli oltre 3 miliardi stimati di costo per l’erario nel gestire la privatizzazione, con i debiti rimasti in mano pubblica e la polpa dell’azienda ceduta alla cordata di imprenditori patrioti quanto si vuole, ma forse a corto di capacità strategiche. I tagli a colpi di migliaia di dipendenti non sono infatti serviti a risollevare il margine operativo, così come a incrementare il fattore di carico dei velivoli. Tanto che, ad oggi, Alitalia perde ancora 1.6 milioni al giorno.

Nell’ennesima svolta sulla vicenda, il pallino passa adesso nelle mani di Massimo Sarmi. Dirigente pubblico di lungo corso, ha svolto un ottimo lavoro da ad del gruppo Poste Italiane concentrando gli sforzi nei servizi (come banco posta e poste mobile) non legati alla corrispondenza tradizionale e ottenendo così negli ultimi anni importanti risultati che vanno oltre il “semplice” utile netto dello scorso esercizio superiore al miliardo. Quando si dice che il pubblico a differenza del mercato non è efficiente. Va detto che Sarmi non si ritrova a partire da zero. Una bozza sul futuro di Alitalia già c’è ed è stata predisposta da Gabriele Del Torchio, che del vettore è l’attuale amministratore delegato. Il piano prevede una riduzione delle rotte nazionali, un aumento delle internazionali (facendo perno principalmente su Linate) e una decisa virata su quelle intercontinentali. L’idea di fondo è una progressiva uscita dal settore di mercato del corto raggio nel quale va consolidandosi l’oligopolio delle low cost, per puntare sul lungo raggio nel quale ancora vi sono margini di manovra. Una strategia, questa, non troppo gradita ad Air France ‒ Klm. La ragione è ovvia e si chiama concorrenza diretta. Al che sorge un dubbio: stante che da più parti l’ipotesi di fusione con il gruppo franco-olandese era data come unica opportunità di trovare un salvagente, come sarebbe stato possibile evitare una regionalizzazione dell’ex compagnia di bandiera? Le critiche di Parigi muovono da una considerazione: la ricerca di una redditività al netto degli investimenti per puntare sulle lunghe distanze sarebbe troppo diluita nel tempo. E’ un’analisi concreta e valida, ma d’altra parte risollevare le sorti di una compagnia aerea nell’attuale periodo (con i margini, anche per grandi come Lufthansa, difficili da tenere fuori dal rosso) non può essere questione di qualche mese.

In questo quadro l’intervento della mano di Stato si è dunque reso necessario. E’ infatti l’investitore pubblico l’unico a poter sostenere un piano orientato sul lungo termine, con una strategia di ampio respiro orientata anzitutto a risanare l’azienda. Se poi da un punto di vista di finanziario dovesse, eventualmente, prodursi un ritorno in termini di valore, sarà tutto di guadagnato. A fronte di un esborso al minimo sindacale per 75 milioni sono così decisamente più ampie le prospettive che si aprono in termini di indotto, strategicità e visione del futuro.

Filippo Burla

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