Roma, 26 nov – La conversione forzata delle banche popolari in spa per ora può attendere. Un emendamento al decreto fiscale, approvato dalla Commissione finanze del Senato, ha spostato a fine 2019 il termine ultimo per il completamento della riforma voluta dal governo Renzi. La montagna ha partorito un topolino. Eppure, tante furono le critiche rivolte all’ex premier per la legge che imponeva agli istituti di credito popolare (con attivi superiore agli otto miliardi) la trasformazione in società per azioni. Oggi alla prova dei fatti, la nuova maggioranza si limita a rimandare a domani ciò che non riesce a fare oggi. C’è di più. È passato anche un provvedimento relativo la riforma delle banche di credito cooperativo, consentendo alle Casse delle province autonome di Trento e Bolzano di derogare all’adesione alla holding costituendo un alternativo sistema di tutela istituzionale. In pratica, le Bcc del Trentino Alto Adige potranno optare per il “modello mitteleuropeo” che consente di tutelare i principi di mutualità alla base della cooperazione.
In poche parole, abbiamo assistito ad una piccola operazione di fotoritocco in attesa di tempi migliori. In politica, però, ogni vuoto viene colmato. Ora la parola passerà alla magistratura. Infatti, la Sesta sezione del Consiglio di Stato, chiamata a decidere in merito al provvedimento voluto dal governo del Pd, sottoporrà cinque quesiti alla Corte di giustizia dell’Unione Europea. Vediamoli nel dettaglio.
La legittimità dell’imposizione di una soglia di attivo al di sopra della quale la banca popolare è obbligata a trasformarsi in società per azioni. La possibilità di differire o limitare, anche per un tempo indeterminato, il rimborso delle azioni del socio recedente. La disciplina sulle limitazioni al rimborso della quota del socio in caso di recesso, per evitare la possibile liquidazione della banca trasformata. La facoltà di rinviare il rimborso per un periodo illimitato e di limitarne in tutto o in parte l’importo. La possibile violazione del diritto di godere della proprietà dei beni di cui all’articolo 16 e dell’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Palazzo Spada si pronuncerà solo dopo la risposta della Corte. A quel punto il Parlamento dovrà semplicemente ratificare ciò che è deciso dalla Corte Europea. Manca, dunque, una risposta politica sulla questione sollevata. La riforma ha obbligato le banche popolari e di credito cooperativo a snaturarsi pur di competere in una realtà finanziaria che rischia di sacrificare il principio di mutualità a cui dovrebbero ispirarsi. Eppure, la storia degli ultimi venti anni ci ha dimostrato che tutte le volte che una banca, radicata nel territorio, ha tradito la sua missione è finita per essere risucchiata fagocitata da istituti più grandi. C’è da dire che su questo versante qualcosa di positivo c’è. Ad esempio gli emendamenti al Dl fiscale della Lega, depositati in commissione Finanze del Senato, secondo cui le “banche hanno la facoltà di adottare, in alternativa alla costituzione del gruppo bancario cooperativo, sistemi di tutela istituzionale”. È apprezzabile anche la proposta di far perdere valore alle azioni speculative che incidono sullo spread, neutralizzandone gli effetti per le banche, attraverso la possibilità di mantenere i titoli in portafoglio senza modificarne la valutazione.
Ciò che manca è una strategia di lungo periodo che consenta di riordinare tutto il settore delle banche popolari. Senza un progetto chiaro si rischia di brancolare nel buio rimanendo in balia dei mercati.
Salvatore Recupero
Banche popolari: la conversione in spa è solo rinviata. Il governo poteva fare di più
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