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Decreto dignità: licenziamenti più difficili e sanzioni a chi delocalizza

by Adolfo Spezzaferro
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Roma, 3 lug – Il Consiglio dei ministri ieri sera tardi ha approvato il cosiddetto decreto Dignità, fortemente voluto dal vicepremier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio. Un testo diviso in 12 articoli che interviene su occupazione, imprese, gioco d’azzardo, che sanziona chi delocalizza le aziende, che scoraggia i licenziamenti senza giusta causa. Di Maio assicura che il decreto è “solo un primo passo avanti”, che il governo ha dichiarato guerra alla precarietà, che con questa misura “licenzia il Jobs act”. Inoltre, per rendere l’occupazione davvero più stabile entro il prossimo anno, il vicepremier promette di abbassare il costo del lavoro. “Lo faremo con la prossima legge di Bilancio”, ha spiegato.
Sul fronte dell’occupazione, il decreto scardina l’odioso Jobs act di Matteo Renzi. Per disincentivare i licenziamenti “ingiusti” e intensificare la lotta ai contratti precari il governo vuole aumentare del 50% gli indennizzi rispetto alla norme attualmente in vigore. Renzi, col Jobs act, aveva di fatto bypassato la gran parte dei casi in cui era previsto il reintegro del posto di lavoro previsto dall’articolo 18 a fronte di licenziamenti senza giusta causa. Dal 2015 per i nuovi assunti a tempo indeterminato è rimasto il reintegro solo per i licenziamenti nulli o discriminatori e in caso di provvedimenti disciplinari annullati dal giudice perché insussistenti. Negli altri casi di licenziamenti ingiustificati o effettuati per motivi economici al lavoratore è corrisposto in risarcimento “certo e crescente” a seconda dell’anzianità di servizio pari a due mensilità ogni anno di servizio, con un minimo di quattro ed un massimo di 24 mesi. Ora, con il nuovo decreto, questo tetto viene innalzato a 36, mentre il minimo sale a sei. Non solo, è stato confermato anche il giro di vite sui contratti a termine che potranno durare al massimo 24 mesi anziché 36, col numero dei rinnovi che scende da cinque a quattro ed un aumento dello 0,5% dei contributi da versare ogni volta, e l’obbligo di indicare la causale dopo il primo contratto. “Iniziamo a smantellare quella parte del Jobs act che ha creato precarietà ed è solo l’inizio, perché spero che il Parlamento ci metta mano in maniera ancora più solida e più forte”, ha spiegato il ministro.
Tra le misure più efficaci, quelle contro la delocalizzazione attuata da imprese che abbiano ottenuto dallo Stato aiuti per impiantare, ampliare e sostenere le proprie attività economiche. Il decreto Dignità prevede infatti che “l’impresa beneficiaria dell’aiuto pubblico decade dal beneficio concesso ed è sottoposta a sanzioni pecuniarie di importo da due a quattro volte quello del beneficio fruito”. L’arco temporale di mantenimento obbligatorio delle attività economiche che hanno beneficiato del sostegno pubblico però “è pari a cinque anni” rispetto ai dieci ipotizzati in un primo momento. Il beneficio andrà restituito con gli interessi maggiorati fino a cinque punti percentuali. Il vincolo si applica a qualunque delocalizzazione effettuata tanto in Paesi extra Ue, quanto in altri Stati dell’Ue, e trova applicazione nei confronti di imprese beneficiarie di tutti gli aiuti di Stato agli investimenti, indipendentemente dalla relativa forma (contributo, finanziamento agevolato, garanzia, aiuti fiscali, compresi iperammortamento e concessione di crediti di imposta legati alle attività di ricerca e sviluppo). Un altro articolo correlato punta a preservare per dieci anni l’occupazione presso le imprese che hanno beneficiato di aiuti di Stato.
Sul fronte delle tasse, come è noto in campagna elettorale Di Maio aveva promesso che come prima cosa una volta al governo avrebbe abolito 400 leggi inutili, compreso redditometro, spesometro e split payment. “Tutti i contribuenti devono essere considerati innocenti sino a prova contraria”, ha sostenuto a ogni piè sospinto il capo politico dei 5 Stelle. In realtà nel decreto il pacchetto “Fisco facile” è fortemente ridimensionato. Il redditometro infatti non viene abolito, ma per gli accertamenti dal 2016 in avanti viene solo prevista la necessità di un nuovo decreto ministeriale di attuazione, sentendo l’Istat e le associazioni dei consumatori, puntando a “riorientarlo maggiormente in chiave di contrasto all’evasione fiscale derivante dall’economia non osservata”. Lo spesometro, per il quale veniva previsto uno slittamento delle scadenze, a quanto pare non sarà proprio toccato; mentre lo split payment che consente alla Pa di trattenere direttamente l’Iva, in forse fino all’ultimo perché avrebbe potuto produrre una caduta del gettito, verrà abolito solo per i professionisti, ma resta in vigore per le imprese.
Giro di vite contro il gioco d’azzardo. Sulla pubblicità di giochi o scommesse con vincite in denaro scatta il divieto totale, con pesanti sanzioni a carico di tutti i contravventori pari al 5% del valore della sponsorizzazione o della pubblicità ed un minimo di 50 mila euro (che salgono a 100/500mila se rivolta a minori). Ad accertare le violazioni e a comminare le sanzioni sarà l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), mentre è previsto che gli incassi vadano a finanziare il fondo per il contrasto al gioco d’azzardo patologico. Nel dettaglio, il nuovo divieto si applica, dalla data di entrata in vigore del decreto, a “qualsiasi forma di pubblicità, comunque effettuata e su qualunque mezzo, incluse manifestazioni sportive, culturali o artistiche, trasmissioni televisive o radiofoniche, stampa quotidiana e periodica, pubblicazioni in genere, affissioni e internet”, mentre dal 2019 varrà anche per “le sponsorizzazioni e tutte le forme di comunicazione”.
Infine, nel decreto Dignità c’è una misura che riguarda “tanti insegnanti diplomati magistrali”. Si tratta, ha detto Di Maio, di “una proroga di 120 giorni su quello che doveva essere il licenziamento causato dalla sentenza del Consiglio di Stato, così che abbiamo il tempo di risolvere il problema per quegli insegnanti che sono decine di migliaia”.
Di Maio ha anche lanciato attaccato duramente il sistema bancario: “La mafia è un atteggiamento prima di tutto, prima ancora che un’organizzazione criminale. Questo atteggiamento lo vediamo anche in organizzazioni che non sono criminali. Lo vediamo in alcuni atteggiamenti delle banche, perché ci sono sentenze che riconoscono l’usura delle banche. L’atteggiamento mafioso a volte lo vediamo anche in alcuni esponenti dello Stato e in alcune organizzazioni dello Stato”.
Il decreto è stato votato dalla Lega (ma il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini era assente al Cdm), che plaude soprattutto alle misure anti-delocalizzazione.
Dall’opposizione arrivano invece critiche molto dure. Per il Partito democratico si dovrebbe parlare di decreto Banalità, con il segretario reggente Maurizio Martina che accusa: “Decreto dignità? Ad oggi vedo tanta propaganda e poca dignità. Hanno raccontato di aver cambiato radicalmente alcune scelte del jobs act e non è così. Ci sono alcune preoccupanti inversioni di tendenza come ad esempio l’annullamento dello split payment che favorisce l’evasione. Se vuoi lavorare seriamente sulla stabilizzazione dei contratti a tempo indeterminato, non fai operazioni di propaganda di questo tipo”. Poi Martina rincara la dose: “Di Maio ha scoperto, cosa abbastanza imbarazzante, che tutti i provvedimenti devono essere coperti dal punto di vista finanziario. Questo significa governare. Hanno fatto ricorso a un decreto propagandistico per dare un po’ di respiro ai 5 Stelle che in queste settimane non hanno toccato palla”.
La capogruppo di Forza Italia al Senato, Anna Maria Bernini, parla di “primo grande bluff di Di Maio e soci rispetto alle aspettative sbandierate“. Posizione condivisa e rafforzata dalle parole dell’omologa alla Camera, Maria Stella Gelmini: “Siamo davanti a un colpo mortale per le imprese italiane“. Per il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, “ci troviamo di fronte a una enorme presa in giro“. Anche gli agricoltori della Cna sono scettici sul provvedimento, soprattutto per la parte che reintroduce le causali nei contratti a tempo determinato: “Si riprodurrebbe la stessa incertezza che in passato è stata fonte di numerosi contenziosi”.
Adolfo Spezzaferro

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