Roma, 4 mag – “Contrordine compagni”. Giovannino Guareschi non avrebbe potuto scrivere una sceneggiatura migliore. Era il 2014 quando Matteo Salvini lanciava, in tutta Italia, il suo “Basta euro tour“. Parola d’ordine abbandonare la moneta unica, che non esitava a definire “una gabbia” e addirittura “un crimine”. Le tesi erano da sposare, così come interessante sembrava la candidatura di due economisti anti-euro come Claudio Borghi e Alberto Bagnai, diventati poi dopo il 4 marzo 2018 presidenti delle commissioni bilancio di Camera e Senato.
Europee 209: indietro tutta
Passano gli anni, ci si insedia al governo, arrivano le elezioni europee. Si matura o si peggiora? Questa è la domanda che in molti si pongono. A buona ragione, dato che le battaglie per la sovranità economica sembrano ormai essere sparite dai radar della Lega.
La parola d’ordine del movimento di Salvini è passata così da “fuori dall’euro” ad un più generico “cambiamo l’Europa dall’interno”. Espressione innocua, feticcio buono per tutte le stagioni quanto pericolosissimo, dato che ci sono andati a sbattere tutti: da Berlusconi a Renzi, passando per – uscendo dai confini nazionali – quell’Alexis Tsipras poi ridottosi ad accettare ogni sorta di imposizione da Bruxelles.
Il fronte dei “sovranisti” vuol davvero cambiare l’Ue?
Obiettivo essere il primo schieramento nel nuovo parlamento Ue. Questo lo scopo dichiarato di Enf, il gruppo che oggi conta 37 deputati (il più piccolo tra Bruxelles e Strasburgo) ma punta dritto verso la leadership dopo il 26 maggio.
Se successo sarà, a che pro? Primo gruppo non significa, in alcun modo, maggioranza. Ipotizzando che possa comunque far sentire un peso specifico di molto superiore rispetto all’attuale, resta da capire su quali tema si muoverà. E qui cominciano a scoprirsi gli altarini di un’alleanza che, se all’apparenza sembra fortemente orientata a rivoltare l’Ue come un calzino, rischia di essere in realtà molto fragile.
Volendo ridurre ai minimi termini la questione, le elezioni europee prossime venture ruoteranno attorno a due temi principali: l’immigrazione e l’economia. Se sul primo punto i leader “sovranisti” hanno una sensibilità comune – e potrebbero contare, se dovesse lasciare definitivamente il Ppe da cui è stato sospeso lo scorso marzo, anche sul sostegno di Viktor Orban – è sul secondo che le posizioni sembrano divergere. E non di poco.
Nessuno stop all’austerità
Non più tardi dello scorso novembre, infatti, a discussioni sulla manovra in corso – quelle che poi portarono al sostanzioso taglio nel deficit previsto per il 2019 – già si registrarono le prime tensioni. A partire da Orban, passando per il cancelliere austriaco Kurz (che con il suo Partito Popolare è organico al Ppe, ma in maggioranza ospita l’Fpo che è membro di Enf) per finire con Alice Weidel, leader di Afd. Tutto un profluvio di critiche e di inviti a rispettare le regole Ue, con la Weidel che non esitava a definire la finanziaria del governo del cambiamento “una follia a spese della Germania”.
Sembra di sentire parlare la Merkel? Parole confermate, non più tardi di ieri, da Joerg Meuthen, professore di economica politica ed esponente di spicco dei sovranisti tedeschi: “Il rispetto delle regole del Trattato di Maastricht – ha spiegato in un’intervista a Repubblica – è fondamentale per garantire la stabilità dell’euro. Altrimenti non può funzionare”. Non parliamo di dettagli, ma del pilastro forse più importante attorno al quale ruota l’architettura dell’eurozona. E che, almeno nelle intenzioni, doveva essere il primo ad essere in qualche modo riformato. Dando più spazio al deficit, alle politiche espansive, alla fine dell’austerità. Germania e “alleati” di Afd permettendo, i quali non sembrano però essere troppo orientati sulle stresse frequenze.
Nicola Mattei